Questa voce tratta della Storia del
buddhismo cinese dalle origini, I secolo d.C., alla
nascita della Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
L'arrivo del Buddhismo in Cina
rappresenta, ancora oggi, uno dei processi di acculturazione delle
idee e delle credenze religiose tra più straordinari della Storia
dell'umanità.
Culture elaborate e dai profondi
risvolti filosofici e spirituali, come quelle indiana, centroasiatica
e cinese, riuscirono in Cina a fondersi e a costituire un insieme di
scuole dottrinali e di culture materiali, parte delle quali
sopravvive tutt'oggi nell'area di influenza cinese, nella Repubblica
di Corea e in Giappone, e da dove, nello scorso Secolo, hanno
raggiunto l'Occidente.
Il Buddhismo è penetrato in Cina agli
albori dell'era cristiana, sotto la Dinastia Han, giungendo lungo la
Via della seta dalla Serindia, ovvero da quella zona geografica
situata tra il Pamir e lo spartiacque dell'Oceano Pacifico.
Introduzione del Buddhismo in Cina (I-IV secolo)
L'introduzione del Buddhismo in Cina
risalirebbe alla metà del I secolo d.C. durante la Dinastia Han
orientale (25-220, capitale: Luòyáng), la quale aveva esteso il suo
protettorato su una parte dell'Asia centrale. Non si hanno notizie
certe su questo avvenimento ma solo leggende, la principale delle
quali vorrebbe che l'imperatore Míng (明,
conosciuto anche come Liú Zhuāng, 劉莊,
regno:57-75 d.C.) sognò un uomo d'oro. Particolarmente colpito
dall'accaduto, un suo consigliere suggerì che potesse essere un dio
straniero di nome Buddha. Míng inviò alcuni ambasciatori verso
Occidente, che tornarono insieme a due monaci indiani, Kāśyapa
Mātaṇga (conosciuto anche col nome cinese di 攝摩騰
Shè Móténg) e Gobharaṇa (cinese: 竺法蘭
Zhú Fǎlán), condotti su di un cavallo bianco. I monaci
portarono con loro testi delle scuole del Buddhismo dei Nikāya, tra
cui il Sutra in quarantadue capitoli (四十二章經,
Sìshíèrzhāngjīng, T.D.
784.17.722-724), che tradussero nel 67 d.C. a Luòyáng dove
fondarono il Monastero del Cavallo Bianco (白馬寺,
Báimǎ-sì). Risulta comunque che anche il fratellastro
dell'imperatore Míng, Liú Yīng (劉英,
?-71) principe di Chu, proteggesse alcune nascenti comunità
buddhiste. Abbiamo notizie più certe a partire dal II sec. grazie
alle cronache monastiche cinesi. Intorno al 150 d.C. giunse in Cina,
come ostaggio, Ān Shìgāo (安世高),
un principe persiano buddhista il quale avrebbe tradotto diversi
sutra (le cronache parlano di 35 testi) delle scuole del Buddhismo
dei Nikāya. Nel 181 giunse il persiano Ān Xuán (安玄),
un mercante il quale, divenuto discepolo di Ān Shìgāo, tradusse
altri testi sempre delle scuole del Buddhismo dei Nikāya e predicò
attivamente la dottrina buddhista. Poi, sempre nel II secolo, è la
volta di Lokakṣema (cinese: 支婁迦讖,
Zhī Lóujiāchèn) un vero e proprio missionario Mahāyāna
proveniente dall'impero Kushan che tradusse moltissimi testi ma di
scuole del Buddhismo Mahāyāna. L'opera di Lokakṣema fu seguita da
un altro missionario kushan, Zhī Qiān (支謙),
agli inizi del III secolo. Zhī Qiān, era un monaco poliglotta,
discendente di una famiglia che si era stabilita un secolo prima a
Luòyáng (divenuta capitale del Regno di Wèi, 曹魏,
220-265, uno dei Tre Regni in cui era suddivisa la Cina dopo il
crollo della Dinastia Han orientale). Quindi da Hanoi (oggi capitale
del Vietnam) e sempre nel III sec., giunse in Cina un giovanissimo
sogdiano, Kāng Sēnghuì (康僧會).
La famiglia di Kāng Sēnghuì visse prima in India per alcune
generazioni trasferendosi quindi ad Hanoi dove svolsero l'attività
di mercanti e da lì migrarono in Cina. Kāng Sēnghuì prese i voti
da novizio (sramanera, cinese: 沙彌
shāmí ) a soli dieci anni, imparò il cinese e
cominciò la sua opera di traduzione. Il più importante traduttore
del III sec., anche lui un kushan, fu tuttavia Dharmarakṣa (cinese:
竺法護 Zhú fǎhù, ). La sua
famiglia si era stabilità da tempo a Dūnhuáng (敦煌).
Lì nacque Dharmarakṣa che entrò in un monastero buddhista a soli
8 anni. I buddhisti cinesi e gli stranieri buddhisti residenti in
Cina sentirono tuttavia la necessità di acquisire direttamente nuovi
testi religiosi, quindi Dharmarakṣa accompagnò il suo maestro, un
monaco indiano conosciuto con il suo nome cinese, Zhú Gāozuò
(竺高座), in un viaggio verso
l'Occidente dove visitarono numerosi regni incontrando ben 36 idiomi
diversi e raccogliendo sutra buddhisti. Tornato in Cina, Dharmarakṣa
si occupò della loro traduzione. Ne tradusse ben 149 prima di
morire, in età molto avanzata, nel 316 d.C.
I rapporti tra Buddhismo e Daoismo
Per comprendere il successo della
diffusione di una dottrina straniera come il Buddhismo in un impero,
come quello cinese, spesso chiuso nelle proprie millenarie
tradizioni, occorre indagare accuratamente le relazioni tra le
comunità straniere buddhiste, e i primi monaci buddhisti cinesi, con
gli studiosi confuciani e, soprattutto, daoisti. Inizialmente i
daoisti ritennero il Buddha venerato dalle comunità buddhiste niente
altro che lo stesso Lǎozǐ (老子),
il leggendario fondatore del Daoismo il quale, secondo una antica
leggenda daoista, sarebbe partito per l'Occidente allo scopo di
diffondere le proprie dottrine presso i barbari. Alcune dottrine
buddhiste erano, peraltro, sovrapponibili a quelle daoiste e ciò
permise di varare il metodo Géyì (格義,
"Fare coincidere il senso") per cui molti termini cinesi
presi in prestito dal Daoismo (e anche dal Confucianesimo) furono
utilizzati dai primi traduttori di sutra buddhisti: così
inizialmente nirvāṇa veniva reso come 無爲
(wúwéi, non azione) e non più correttamente come 湼槃
( nièpán). Il crollo della Dinastia Han fu un grave
smacco per la cultura tradizionale cinese, in quanto questa dinastia
aveva accuratamente seguito le indicazioni religiose e normative e
ciononostante era impietosamente crollata sotto le ribellioni e
grazie al tradimento dei generali dell'esercito imperiale. La
riflessione che ne seguì, in ambito daoista, fu propria della scuola
Xuánxué (玄學, Scuola della
Sapienza oscura) la quale ritenne che la Dinastia Han avesse preso
troppo alla lettera le idee professate nei classici del Daoismo
anziché coglierne intuitivamente la portata. La distinzione fra
conoscenza immediata e conoscenza graduale (quest'ultima, secondo
queste dottrine, non priva di rischi di fallimento nella
comprensione) fu poi alla base di numerose distinzioni tra le scuole
buddhiste cinesi sempre tese a dichiararsi nell'ambito, vincente,
dell'immediato. Inoltre i dotti daoisti ritennero che grazie alla
comprensione immediata si potesse penetrare il principio della realtà
che costituiva la matrice di tutte le cose. Identificarono questo
principio con il "non essere" (cin. 無
Wú) che corrispondeva alla reale natura di tutti i
fenomeni intesi come "essere" (cin. 有
Yǒu). Così Guō Xiàng (郭象, ?-312)
nel XX capitolo del suo commentario allo Zhuāngzǐ (莊子):
«Nell'esistenza che cosa è prima delle cose? Noi diciamo che Yin e
Yang sono prima delle cose, che c'è allora prima di Yīn (陰)
e Yáng (陽)? Noi
possiamo dire che zìrán (自然)
[lo stato armonioso della natura delle cose] è prima delle cose, ma
zìrán è semplicemente la naturalità armoniosa delle cose.
Ma il Dao è vuoto (inteso come "non essere", cin.
Wú). Ma se è vuoto come può essere prima delle cose? Noi
non sappiamo che cosa è prima delle cose, tuttavia le cose sono
continuamente prodotte. Questo dimostra che le cose sono
spontaneamente ciò che sono; non c'è un Creatore delle cose». Tale
testo daoista non può non richiamare, in alcuni passi, gli stessi
Prajñāpāramitā Sūtra della letteratura buddhista Mahāyāna
messi per iscritto alcuni secoli prima in India. Ma tali concezioni
potevano essere, dal lato pratico, eccessivamente relativiste e non
spiegavano i diversi destini dell'umanità. Accorsero le dottrine
buddhiste di karma (cinese 業
yè) e di rinascita (sanscrito punarbhava,
cin. 更生 gēngshēng)
a spiegare ciò che il Daoismo ancora non aveva affrontato: la
dimensione morale della realtà. Fu quindi la cultura buddhista ad
offrire la possibilità di un cambiamento epocale in Cina. Essa
permetteva da un lato la spiegazione di eventi, anche individuali,
disastrosi e, con la diffusione dei monasteri, consentiva a chiunque
di approcciare questi temi in modo personale e spirituale.
Lo sviluppo nella Cina meridionale (IV-VI secolo)
Nel corso del IV secolo, a seguito
della invasione della Cina settentrionale da parte dei popoli delle
steppe (Xiōngnú, 匈奴; Jié,
羯; Xiānbēi, 鮮卑;
Qiāng, 羌; e Dǐ, 氐)
la corte cinese abbandonò Luòyáng (洛陽)
spostandosi verso Sud, fondando la nuova capitale a Jiànkāng (建康,
oggi Nánjīng) e la nuova Dinastia Jin orientale (317-420). Nella
Cina meridionale il Buddhismo prosperò soprattutto tra le classi
aristocratiche e vi furono importanti monaci cinesi, come Shi Daobao
e Zhu Daoqian, fratello e cugino di Wáng Dǎo (王導,
276-339) importantissimo esponente della Corte imperiale), che
operarono per inserire la dottrina buddhista nella cultura
tradizionale cinese. Tra questi monaci cinesi, va menzionata l'opera
di Huìyuan (慧遠, 334-416),
fondatore del monastero di Dōnglín (東林,
Monastero del Bosco Orientale, situato ai piedi del monte Monte Lú,
ispiratore, alcuni secoli dopo, del Báiliánjiào, 白蓮教,
setta del Loto Bianco), e del suo maestro, Dào'ān (道安,
312-385), fondatore del monastero di Xiāngyáng (襄陽)
nonché, a sua volta, discepolo del maestro di dhyana e taumaturgo,
di origini kushan, Fótúchéng (佛圖澄, ?-348,
già consigliere dell'imperatore Shí Lè,). Huìyuan fu autore, nel
404, dello Shāmén bùjìng wángzhě (沙門不敬王者,
Il monaco non deve rendere omaggio al sovrano), un'opera rivolta
all'usurpatore della Dinastia Jin orientale, Huán Xuán (桓玄,
regno: 403-404) e tesa a dimostrare i motivi per cui i monaci
buddhisti non potevano essere 'controllati' dalle autorità laiche.
Nel corso di quegli anni venne completata la progressiva raccolta di
sutra buddhisti provenienti dall'Asia centro-orientale e quindi si
cercò di raggiungere l'India, il paese che diede i natali al Buddha
Shakyamuni, per poter completare la raccolta con nuovi testi. Per
tale ragione nel 399 partì, sempre da Jiànkāng, il monaco cinese
Fǎxiǎn (法顯, 340-418) per
una missione durata 14 anni in India e Sri Lanka alla ricerca dei
Vinaya
indiani e di nuovi sutra. Dall'India giunse anche, nel 408 su invito
di Fǎxiǎn, Buddhabhadra (359-429) che iniziò le traduzioni delle
opere Mahāyāna; mentre dalla Cambogia giunse, nel 548, Paramârtha
(499-569) che avviò le traduzioni della scuola Cittamātra ponendo
così le premesse per la nascita della scuola Shèlùn (攝論宗),
fondata poco dopo da Tánqiān (曇遷,
542-607). Nel VI secolo grazie alla Dinastia Liang (502-557), e in
particolare modo dell'imperatore Wǔ (武,
conosciuto anche come Xiāo Yǎn, 蕭衍,
regno: 502-49), il Buddhismo ebbe un attivo sostegno da parte della
Corte imperiale. L'imperatore Wǔ giunse, nel 511, a vietare il
consumo di carne e di vino a Corte e l'impiego di animali per la
preparazione di medicamenti o per i sacrifici. Fece costruire
moltissimi templi ma non riuscì a farsi nominare dai monaci
Bodhisattva imperiale, una specie di papa buddhista
cinese, questo per l'opposizione del saṃgha (僧伽,
sēngqié) buddhista. Anche agli imperatori della Dinastia
Chen (557-589) furono favorevoli al Buddhismo, in particolar modo
Xuān (宣, conosciuto anche
come Chén Xù, 陳頊, regno:
568-82) e Hòu Zhǔ (後主,
conosciuto anche come Chén Shúbǎo, 陳叔寶,
ultimo imperatore della dinastia Chen, regno: 582-89), anche grazie
ai quali venne fondata da Zhìyǐ ((智顗,
538-597) la scuola Tiāntái (天台宗).
Ma proprio in questo periodo di successo si avviano le opere
polemiche contro la "dottrina occidentale" da parte dei
letterati confuciani e daoisti che, nei secoli a seguire,
alimenteranno le persecuzioni religiose contro i devoti del Dharma.
In particolare modo Gù Huān (顧歡,
V secolo) affermò, nello Yíxiàlún (夷夏論,
Studio sui barbari e sui cinesi), che il Buddhismo mirava a
distruggere il male in quanto, essendo nato in India, la natura degli
indiani era malvagia, a differenza del Daoismo che coltivava il bene
in quanto i cinesi erano naturalmente buoni. Hé Chéngtiān (何承天,
370-447) arrivò a sostenere che le regole monastiche buddhiste erano
state elaborate per frenare gli istinti malvagi degli Indiani. Nel
Sānpòlún (三破論,
Studio sulle tre distruzioni, opera del daoista Zhāng Rong, 張,
V secolo) si arrivò a sostenere che Lǎozǐ giunto in India come
Buddha aveva ordinato al popolo di scegliere il celibato così da
estinguerlo vista la sua malvagità. Ma l'attacco più pericoloso per
le comunità buddhiste fu promosso da Xún Jǐ (荀濟, ?-547)
con la sua opera Lun fojiao biao (Memoriale sul Buddhismo)
dove sostenne che il Buddhismo ero fiorito in Cina durante il periodo
delle divisioni dinastiche e che stava pervertendo le relazioni
politiche e familiari. Le comunità monastiche risultavano composte
da "parassiti" che non svolgevano alcuna attività
lavorativa, inoltre il loro celibato provocava una diminuzione nella
procreazione di manodopera futura. Secondo Xún Jǐ questo celibato
non impediva ai monaci di fornicare con le monache provocando aborti
che poi nascondevano sotto le fondamenta dei templi.
Lo sviluppo nella Cina settentrionale (IV-VI secolo)
Nello stesso periodo, a Cháng'ān,
nella zona della Cina settentrionale, occupata dall'etnia Qiang
(羌) all'origine della Dinastia
Qin posteriore (384-417), operava Kumārajīva (344-413) con la sua
scuola di traduttori e maestri di Dharma formata da monaci come:
Dàoshēng (道生, 355–434),
Dàoróng (道融, 372-445),
Sēngruì (僧叡, 371-438),
Sēngzhào (僧肇, 374-414) e
Huìguān (慧觀, IV-V sec.);
che tanta importanza ebbe per lo sviluppo del Buddhismo cinese e
segnatamente per la scuola Sānlùn (三論宗,
Sānlùn zōng), il cui tradizionale fondatore è indicato
proprio in Sēngzhào. Nel 445, sempre nella Cina settentrionale,
l'imperatore Tài Wǔ (太武,
conosciuto anche come Tuòbá, 拓拔,
regno: 423-51) della Dinastia Wei settentrionale (386-534, capitale:
Luòyáng) avviò la prima persecuzione contro il Buddhismo. La
persecuzione di Tài Wǔ ebbe come pretesto la scoperta di un
deposito di armi nei sotterranei di un monastero di Cháng'ān,
avvenuta dopo la soppressione di una rivolta scoppiata nella stessa
città. Il seguito delle indagini denunciarono la presenza di grandi
quantità di alcolici e di appartamenti che fungevano da postriboli
per le orge dei monaci con donne dell'aristocrazia. A seguito di
questo evento, che non si sa quanto autentico o quanto
macchinosamente inventato, e su spinta dei suoi due consiglieri
antibuddhisti, il daoista Kòu Qiānzhī (寇謙之,
365-448) e il confuciano Cuī Hào (崔浩, ?-450),
Tài Wǔ ordinò che tutti monasteri buddhisti fossero dati alle
fiamme e i monaci, senza alcuna distinzione di sesso o di età,
giustiziati. L'esecuzione del provvedimento fu impedita per le
resistenze all'interno della stessa Corte e con l'ascesa al trono di
Wén Chéng (文成, conosciuto
anche come Tuò Bá Jùn, 拓拔濬,
regno: 452-65), fu abrogato e tornò l'appoggio dell'imperatore alle
comunità buddhiste.
Wén Chéng per riparare ai massacri
provocati dal suo predecessore, fece scolpire le Grotte di Yúngāng
(雲崗石窟). A differenza
della Cina meridionale, dove il Buddhismo godeva di un'ampia
autonomia dal potere imperiale, nella Cina settentrionale sempre più
le case regnanti operarono delle ordinanze di controllo sul saṃgha,
costituendo appositi uffici di registrazione che segnalarono la
presenza, nel 477, di 100 templi e duemila monaci nella capitale
mentre nel resto dell'impero si contavano 77.258 monaci. Fatto salvo
la persecuzione scatenata nel 445 da Tài Wǔ la Dinastia Wei
settentrionale sostenne con determinazione la diffusione del
Buddhismo, come testimoniato dalle scultura in pietra delle Grotte di
Yúngāng e delle Grotte di Lóngmén (龍門石窟).
Alla fine di questa dinastia (534) i templi buddhisti raggiunsero le
trentamila unità e i monaci registrati, quasi i 2 milioni. Anche le
dinastie successive alla Dinastia Wei settentrionale furono
generalmente favorevoli al Buddhismo, favore bruscamente interrotto
dall'ascesa al trono dell'imperatore confuciano Wǔ (武,
conosciuto anche come Yǔwén Yōng, 宇文邕,
regno: 561-78) della Dinastia Zhou settentrionale (577-581, capitale:
Cháng'ān). Dopo alcune leggi che limitavano la libertà dei monaci,
e a seguito delle proteste di questi, l'imperatore Wǔ decise, nel
574, di distruggere tutti gli edifici buddhisti (editto allargato
anche ai templi daoisti) e di costringere i monaci al ritorno alla
vita laicale. La morte, nel 578, di questo imperatore fece sospendere
l'applicazione dell'editto fino all'arrivo della nuova Dinastia Sui,
nel 581, che avrebbe riunificato la Cina dopo due secoli e mezzo di
divisioni e rilanciato, con vigore e determinazione, la diffusione
del Buddhismo. Va notato che le guerre dinastiche e le persecuzioni
locali costringevano le comunità monastiche ad una continua mobilità
in un impero frammentato in molti stati. Ciò se da una parte era una
grave forma di disagio e di insicurezza, dall'altra permise al
Buddhismo di diffondersi per tutta la Cina moltiplicando i monasteri,
i templi e i centri di traduzione dei sutra. Inoltre questo periodo
di grave insicurezza e di guerre costanti, portò numerosi giovani,
spesso orfani, a interrogarsi sul senso della vita e sui suoi fragili
fondamenti, quesiti tipici di un percorso spirituale buddhista. La
combinazione di questi due elementi, unitamente al fatto che
inizialmente fu confuso con la dottrina tradizionale daoista, spiega
il rapido successo del Buddhismo in tutta la Cina.
Il Buddhismo durante le dinastie Sui e Tang (581-907)
Durante la Dinastia Sui (581-618,
capitale: Cháng'ān), che riunificò la Cina dopo 360 anni di
divisione, gli imperatori Wén (文,
conosciuto anche come Yáng Jiān, 揚堅,
regno: 581-604) e Yáng (煬,
conosciuto anche come Yáng Guǎng, 楊廣,
regno: 604-17), ambedue di fede buddhista, furono particolarmente
favorevoli alla scuola buddhista Tiāntái, fondata sui monti Tiāntái
(天台山), nel 575, da Zhìyǐ
(智顗, 538-597). In particolar
modo Wén si proclamò cakravartin (輪王,
pinyin lúnwáng), il re universale che governa per mezzo
della ruota, simbolo della religione buddhista. Nel 585 si proclamò
bodhisattva (菩薩,
púsà) e nel 594 emise un editto imperiale in cui affermò di
essere un discepolo del Buddha dichiarando il proprio dolore per i
danni apportati dalle persecuzioni antibuddhiste della dinastia degli
Zhou settentrionale che lo aveva preceduto. Secondo alcune cronache
della dinastia Tang, sotto Wén furono eretti 3792 templi, ordinati
230 000 monaci e furono copiati 132 000 volumi del Canone
cinese. L'ascesa al Trono del drago nel 618 della Dinastia Tang
(618-907, capitale: Cháng'ān) spinse ulteriormente l'aspetto
sincretico della politica religiosa imperiale nei confronti delle
“Tre dottrine” (三教 sānjiào)
religiose presenti in Cina (Confucianesimo, Daoismo e Buddhismo)
tendenza già presente nella buddhista Dinastia Sui. Ma il favore
della dinastia Tang fu inizialmente nei confronti del Confucianesimo,
così Gāozǔ (高祖,
conosciuto anche come Lǐ Yuān, 李淵,
regno: 618-26), nel 626, limitò la libertà religiosa dei monasteri
buddhisti e daoisti. Tale scelta religiosa non fu seguita dal suo
erede, Tàizōng (太宗,
conosciuto anche come Lǐ Shìmín, 李世民,
regno: 626-49), che seppur ritirò le leggi sfavorevoli al sangha
perseguì una politica a favore della chiesa daoista, in quanto la
sua famiglia vantava una discendenza diretta da Lǎozǐ. Così anche
Gāozōng (高宗, conosciuto
anche come Lǐzhì, 李治,
regno: 649-83), continuò la politica pro-daoista del suo
predecessore, cercando di limitare la diffusione del Buddhismo.
L'ascesa la trono dell'imperatrice Wǔ
Zétiān (武則天, conosciuta
anche come Wǔ Zhào, 武曌,
regno: 690-705), nel 690, modificò radicalmente la politica
imperiale nei confronti delle scuole buddhiste. L'imperatrice,
consapevole di non poter avere l'appoggio, in quanto donna, degli
ambienti confuciani, sposò con fede e determinazione la dottrina
buddhista, diffondendo per tutto l'impero un sutra, il Dàyúnjīng
(大雲經, sanscrito
Mahāmegha-sūtra, Sutra della Grande nuvola, T.D. 387,
tradotto nel 314 da Dharmaksema), che profetizzava l'avvenimento di
una divinità femminile che si sarebbe incarnata in un monarca
universale buddhista (輪王,
pinyin lúnwáng). L'imperatrice Wǔ Zétiān eresse, ovunque,
templi buddhisti della “Grande nuvola” (negli anni '50 ne fu
rinvenuto uno persino nei pressi di Akbeshim in Kirghizistan).
Contemporaneamente proibì la macellazione e stabilì la precedenza
del Buddhismo sul Daoismo e il Confucianesimo nelle cerimonie
ufficiali. Nel 693 assunse il titolo di Jīnlún shèngshén
huángdì (金輪聖神皇帝,
Sacra sovrana della Ruota d'Oro), manifestando l'intenzione di
fondare un impero universale buddhista, centro religioso e politico
per tutti i popoli buddhisti. Nel 694, tuttavia, dopo aver fatto
condannare a morte il suo consigliere, il monaco Xuē Huáiyì
(薛懷義, ?-694, indicato
in alcune cronache come il suo amante), abbandonò il titolo di
Lúnwáng e ritirò l'editto sulle macellazioni. Nel 712 con
l'ascesa al trono di Xuánzōng (玄宗,
conosciuto anche come Lǐ Lóngjī, 李隆基,
regno: 712-56), che riprese con vigore la politica pro-daoista di
alcuni dei suoi predecessori, vennero proibiti la costruzione di
nuovi monasteri buddhisti, la vendita di immagini sacre e ai monaci
fu impedito di predicare e pregare in pubblico. Indicativa fu anche
la decisione, presa sempre da Xuanzong nel 736, di mettere sotto
controllo la chiesa buddhista affidando il compito di controllo allo
Hónglúsì (鴻臚寺),
l'ufficio sul cerimoniale che si occupava dell'ospitalità degli
ambasciatori stranieri.
La grande persecuzione anti-buddhista dell'845
Nell'819, sotto il regno di Xiànzōng
(憲宗, conosciuto anche come
Lǐ Chún, 李淳, regno:
805-20), il famoso letterato confuciano Hán Yù (韓愈,
768-824) spedì alla corte un memoriale che ricordava, nei contenuti,
quello di Xún Jǐ del VI secolo. Anche se indirizzato contro tutte
le religioni straniere (fu subito utilizzato per perseguitare la
Chiesa manichea, religione professata dalle tribù turche degli
Uiguri prima della loro conversione all'Islam) rappresentò la base
ideologica per le persecuzioni scatenate, nove anni dopo, contro
tutte le comunità buddhiste. Nell'844, infatti, l'imperatore Wǔzōng
(武宗, conosciuto anche come
Lǐ yán, 李炎, regno:
840-846), dopo aver censito le comunità monastiche e i loro beni,
emise un editto senza precedenti per cui nelle due capitali (Cháng'ān
e Luòyáng) potevano essere presenti solo quattro templi ciascuna ed
uno per ogni prefettura, ma solo nelle più importanti. Statue e
campane buddhiste vennero fuse per farne monete o attrezzi agricoli
mentre quelle di materiale più prezioso furono requisite dal Governo
imperiale. Alla fine della persecuzione diverse decine di migliaia di
templi vennero distrutti e circa 250 000 monaci ridotti allo
stato laicale. Ma il colpo finale arriverà l'anno successivo, l'845,
quando l'imperatore ordinò la riduzione allo stato laicale di tutti
i monaci buddhisti proseguendo fino alla distruzione completa di
tutti i monasteri e di tutti i templi, fatto salvo una decina di
questi edifici utilizzati per le tradizionali cerimonie di Corte.
Alla fine dell'anno, quattromilaseicento monasteri risulteranno rasi
al suolo così come quarantamila templi. Circa mezzo milione di
persone, tra monaci, monache e servi della gleba al servizio delle
terre dei monasteri, furono cacciati dai luoghi di culto andando
spesso ad ingrossare le bande di briganti-rivoluzionari che
infestavano le campagne. L'efficacia amministrativa della Dinastia
Tang riuscì dove fallirono le precedenti persecuzioni
anti-buddhiste. Solo i monasteri della scuola Chán che, avendo
stabilito nel loro codice monastico il lavoro obbligatorio mentre nel
contempo rifiutavano di attribuire alcuna autorità alle scritture e
alla devozione nei confronti dei simboli esteriori del Dharma
buddhista (immagini sacre, statue, etc.) e utilizzando spesso un
linguaggio e un metodo di insegnamento molto simile a quello daoista,
furono spesso scambiati per centri daoisti e quindi risparmiati. Di
fatto, dalla persecuzione scatenata dall'imperatore Wǔzōng, il
Buddhismo cinese non si riprese più. Alcune scuole risorgeranno e
produrranno ancora maestri importanti ma in tono certamente minore
rispetto ai fasti del passato. La scuola Chán, passata quasi del
tutto indenne dalla persecuzione avviata da Wǔzōng, non ebbe più
occasioni di confronti dottrinali con i grandi maestri delle altre
scuole e finì, progressivamente, nell'adagiarsi inglobando le
pratiche popolari del niànfó (念佛),
tipiche del Buddhismo della Terra Pura. Questo processo storico,
avviatosi con la persecuzione dell'845, genererà un Buddhismo
sincretico privo di spessore dottrinale che finirà, salvo alcuni
rari casi, per essere progressivamente marginalizzato dalla cultura
cinese risorgendo spesso solo nelle campagne come cultura popolare e
millenaristica origine delle sette segrete nate per rovesciare le
dinastie straniere come la Dinastia Yuan o la Dinastia Qing, oppure
come antesignane delle lotte di classe contro i ceti benestanti.
Furono dei pellegrini giapponesi come Saichō (最澄,
767-822), Kūkai (空海,
774-835), Eisai (明菴,
1141-1215) e Dōgen (道元,
1200-1253) a trasferire in Giappone testi, insegnamenti e lignaggi
che andavano inesorabilmente scomparendo, o confondendosi, sul suolo
cinese.
Il Buddhismo nella Cina dei Song (960-1279)
L'implosione della Dinastia Tang,
avvenuto nel 907 con la morte per avvelenamento del suo ultimo
imperatore, il diciassettenne Āi Dì (哀帝,
conosciuto anche come Lǐ Zhù, 李祝,
regno:904-907), causò alla Cina cinquanta anni di divisioni e di
anarchia. La Cina meridionale si suddivise in diversi regni,
governati per lo più dai generali della stessa Dinastia Tang, mentre
nella Cina settentrionale si succedettero diverse dinastie barbare.
Questa grave situazione subì un drastico cambiamento quando un
generale di una di queste dinastie, Zhào Kuāngyìn (趙匡胤,
927-976) della Dinastia Zhou posteriore (951-960, capitale: Biàn),
conquistò nel 960 con un colpo di stato il potere imperiale,
fondando la Dinastia Song e avviando la riunificazione di tutta la
Cina. Tale riunificazione fu tuttavia fermata al Nord dalla presenza
del potente stato sino-barbaro dei Liáo (遼),conquistati
nel 1125 da un altro popolo delle steppe, i Jīn (金),
e, ad Occidente, dal regno di origine tibetana Tangut (cinese: 党项,
Dǎngxiàng). Anche se durante la Dinastia Song furono ritirate le
norme persecutorie contro il Buddhismo e questa dinastia fu
generalmente, anche se moderatamente, favorevole al saṃgha,
i suoi imperatori si mostrarono particolarmente devoti alla Chiesa
daoista. Nel 1008 Lǎozǐ fu, insieme a Confucio, proclamato guida
spirituale dell'intera umanità. Nel 1012 fu diffuso il culto daoista
dell'Imperatore di Giada (玉皇
Yùhuáng) come suprema divinità. I Buddha e i
Bodhisattva furono invece considerati, dalla Corte imperiale, come
divinità inferiori rispetto al pantheon daoista. Allo stesso modo i
monaci buddhisti dovettero sottomettersi alla consacrazione daoista,
mentre gli imperatori elargivano denaro e terre ai soli monasteri
della religione fondata da Lǎozǐ. Persino la seconda diffusione del
Canone buddhista in xilografia, che ha origine proprio durante questa
dinastia, la si deve al solo intervento di un privato. Nel 1068, con
il varo della norma per la vendita dei certificati di monaco
buddhista, si consentì a chiunque di entrare nel saṃgha
magari al solo scopo di pagare meno tributi e senza che fosse
richiesta alcuna preparazione. Ciò portò al decadimento dei
monasteri buddhisti, visti come luogo di evasione delle tasse, e al
loro discredito presso le classi colte. La fede buddhista resistette
invece nelle campagne dove, grazie alla setta del Loto Bianco (白蓮教,
Báiliánjiào ) fondata nel 1133 dal monaco tiāntái Máo
Zǐyuán (茅子元, 1086-1166),
si diffuse accompagnandosi a speranze millenaristiche legate alle
figure del Buddha Amitābha (阿彌陀,
Āmítuó) e del Buddha del futuro, Maitreya (彌勒,
Mílè), divenendo presto origine anche di numerose sette segrete
dedite alla cospirazione politica.
Il Buddhismo sotto la dominazione mongola degli Yuan (1279-1368)
La dinastia mongola degli Yuan fu
decisamente tollerante con tutte le religioni professate lungo il suo
vasto impero. Ciononostante, dopo un periodo di attenzioni favorevoli
al Buddhismo Chán, iniziato nel 1247 con la nomina del monaco chán
Haiyuan ad amministratore degli "affari buddhisti" e dopo
la conquista del Tibet, la dinastia mongola si fece sempre più
portavoce della cultura religiosa del Buddhismo tibetano. A partire
dal 1260, l'imperatore Kublai Khan (cinese 忽必烈,
Hūbìliè, regno: 1260-1294) fu fortemente influenzato da un Lama
tibetano, il V patriarca della scuola Sakya Drogön Chögyal Phagpa
(1235-1280, cinese 發合思巴,
Fāhésībā), a cui affidò tutti gli affari religiosi dell'impero.
Da quel momento furono i lama (tibetano bla ma, cinese 喇嘛
lǎmá) tibetani ad esercitare il controllo sul saṃgha
buddhista cinese, nonché sui religiosi delle altre fedi presenti
nell'impero mongolo. Questo controllo, esercitato in modo violento e
terroristico provocò delle forti diffidenze da parte del clero
buddhista e del popolo cinese nei confronti delle credenze e delle
usanze lamaiste che non penetrarono mai nel tessuto culturale
buddhista cinese, interpretate, inoltre, come frutto della
imposizione di una casta “occupante” e “barbara”. Questa
diffidenza, se non aperta ostilità, consenti ai monasteri delle
scuole buddhiste cinesi di fungere da luogo di autentica tradizione
agli occhi del popolo.
Il Buddhismo durante la Dinastia nazionale dei Ming (1368-1644)
Gli ultimi anni della dominazione
mongola furono caratterizzati da una crisi economica lungo tutto
l'impero e da numerose ribellioni nelle campagne ispirate dalla setta
segreta buddhista del Loto bianco e organizzate dall'esercito
clandestino dei Turbanti Rossi (紅巾
Hóngjīn). Da quest anarchia crescente emerse la
figura di Zhū Yuánzhāng (朱元璋,
1328-98, successivamente incoronato imperatore con il niánhào
di Hóngwǔ, 洪武, regno:
1368-98), figlio di contadini morti durante la carestia del 1344.
Rifugiatosi diciassettenne nel tempio buddhista di Huángjué (黄觉)
e divenuto monaco, Zhū Yuánzhāng vi rimase fino al 1352 quando
aderì alla setta del Loto bianco entrando nell'esercito ribelle dei
Turbanti Rossi. Gli eventi portarono l'ex monaco Zhū Yuánzhāng a
divenire capo della rivolta anti-mongola e infine, il 23 gennaio
1368, primo imperatore della Dinastia Ming. Sotto questa dinastia il
Buddhismo cinese ebbe una certa ripresa anche se i sovrani
predilessero le dottrine confuciane, emarginando e controllando sia
il Buddhismo che il Daoismo. In questo periodo emersero, tuttavia,
delle figure di un certo rilievo come il monaco Yúnqī Zhū Hóng
(雲棲祩宏, 1535-1615), che
promosse numerose associazioni laiche buddhiste e polemizzò
duramente contro i gesuiti e le dottrine cristiane. Altri monaci di
rilievo di questo periodo furono Hanshan Déqìng (憨山德凊,
1546-1623), Zibo Zhēnkě (紫柏真可,
1543-1604) e Ŏuyì Zhìxù (蕅益智旭,
1599–1655).
Cronologia
Anno | Eventi |
---|---|
I sec. | Arrivo a Péngchéng (彭城, oggi Xuzhou) e a Luòyáng (洛陽), durante la Dinastia Han, dei primi monaci e delle prime scritture buddhiste Hīnayāna, provenienti dall'Asia Centrale |
148 | Giunge a Luòyáng il principe persiano, divenuto monaco, Ān Shìgāo (安世高) che ordinerà, secondo la tradizione, il primo monaco cinese, Yán fódiào (嚴佛調) di Línhuái. |
150 | Giunge a Luòyáng il missionario Mahāyāna e traduttore kushan Lokakṣema nel 168 convertirà il primo monaco buddhista cinese al Mahāyāna |
170 | Ān Shìgāo termina la prima traduzione del Mātaṅga-sūtra (conservato nel Mìjiàobù), primo sutra a contenere mantra e dhāraṇī, elementi di pratica spirituale caratteristici del successivo Buddhismo Vajrayāna |
181 | Giunge a Luòyáng il mercante persiano Ān Xuán (安玄) che diviene discepolo di Ān Shìgāo |
188 | Viene completata la prima traduzione del Vimalakīrti Nirdeśa sūtra (conservato nel Jīngjíbù) |
III sec. | Giunge a Luòyáng il sogdiano Saṃghavarman (康僧鎧, Kāng Sēngkǎi) |
224 | Il monaco indiano Vighna (維祇難, Wéizhīnán) giunge a Wǔcháng insieme a Zhu Jiangyan (竺將炎) e completa la prima versione cinese del Dhammapada (conservato nel Běnyuánbù) |
225 | Arrivo a Nánjīng da Luòyáng, dove era nato, del monaco di origine yuezhi, Zhī Qiān (支謙) il quale completa la versione cinese dei primi Prajñāpāramitā Sūtra (conservati nel Bōrěbù) |
247 | Giunge a Nánjīng da Hanoi il sogdiano Kāng Sēnghuì (康僧會) |
260 | Zhū Shìxíng (朱士行), originario dell'Henan raggiunge il Regno di Khotan per procurarsi alcuni Prajñāpāramitā Sūtra. È il primo monaco cinese a raggiungere l'Asia centrale. |
265 | Di ritorno da un viaggio lungo l'Asia centrale, giunge a Cháng'ān il monaco yuezhi Dharmarakṣa che fonda la prima scuola di traduttori |
265 | Dharmarakṣa completa la prima traduzione del Sutra del Loto (正法華經 Zhèng fǎhuā jīng, conservato nel Fǎhuābù) |
IV sec. | I barbari invadono la Cina del Nord dove fondano diverse dinastie. La Corte imperiale si ritira nella Cina meridionale |
IV sec. | Saṃghadeva completa le traduzioni in cinese degli Āgama indiani (conservati nel Āhánbù) |
310 | Il monaco taumaturgo Fótúchéng (佛圖澄) giunge a Luòyáng |
365 | Dào'ān (道安), discepolo di Fótúchéng, fonda a Xiāngyáng (襄陽, oggi nella provincia di Hubei) un importante monastero |
380 | Huìyuan (慧遠), discepolo di Dào'ān, fonda sul Monte Lú il monastero di Dōnglín (东林寺) |
399 | Fǎxián (法賢) parte da Nánjīng per raggiungere l'India |
401 | Kumārajīva giunge a Cháng'ān dove fonda una scuola di traduttori e introduce gli insegnamenti della scuola indiana Madhyamaka |
403 | Kumārajīva traduce la prima versione del Amitābha-sūtra (cinese, 阿彌陀經 Amítuó jīng, conservato nel Bǎojībù) |
403 | Kumārajīva traduce una versione del Sutra del Diamante (sanscrito Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra, cinese 金剛般若波羅蜜經 Jīngāng banruo boluómì jīng, conservato nel Bōrěbù) |
404 | Huìyuan redige lo Shāmén bùjìng wángzhě (沙門不敬王者) con cui respinge gli interventi politici nei monasteri buddhisti |
406 | Kumārajīva traduce la più importante versione del Sutra del Loto (妙法蓮華經 Miàofǎ Liánhuā Jīng, conservato nel Fǎhuābù) |
410 | Buddhabhadra giunge a Cháng'ān, ma respinto dagli allievi di Kumārajīva, raggiunge il Monte Lú per poi recarsi a Nánjīng |
411 | Fǎxián rientra a Nánjīng |
417 | Buddhabhadra e Fǎxián completano la prima traduzione del Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra (大般泥洹經 Dà bān níhuán jīng, conservato nel Nièpánbù) |
417 | Dàoshēng (道生), allievo di Kumārajīva, abbandona Nánjīng in polemica con Buddhabhadra e Fǎxián per la loro traduzione del Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra e fa ritorno sul Monte Lú |
420 | Buddhabhadra completa la prima traduzione dell'Avataṃsakasūtra (cinese (華嚴經 Huāyánjīng, conservato nel Huāyánbù) |
421 | Dharmakṣema completa una nuova traduzione del Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra con i capitoli riportati dal Khotan |
445 | L'imperatore Tàiwǔ (太武), della Dinastia Wei settentrionale, scatena la prima persecuzione antibuddhista della Storia della Cina |
V sec. | L'imperatore Wénchéng (文成) della Dinastia Wei settentrionale per riparare ai massacri provocati dal suo predecessore fa scolpire le Grotte di Yúngāng (雲崗石窟) |
V sec. | Dharmakṣema completa la prima traduzione del Laṅkāvatārasūtra (cinese 楞伽經 Lèngqiéjīng). Questa traduzione è andata tuttavia perduta |
V sec. | Gli allievi di Kumārajīva fondano la scuola Sānlùn (三論宗) basata sulle dottrine Madhyamaka |
511 | L'imperatore Wǔ (武) della Dinastia Liang meridionale vara leggi ispirate al Dharma buddhista |
526 | Presunto arrivo a Nanyue del monaco indiano Bodhidharma, fondatore della scuola Chán |
548 | Il monaco e traduttore indiano Paramārtha giunge a Nánjīng con 250 rotoli di scritture e introduce in Cina la scuola indiana Cittamātra |
574 | L'imperatore Wǔ (武) della Dinastia Zhou settentrionale avvia la seconda persecuzione anti-buddhista |
575 | Zhìyǐ ((智顗) fonda sui Monti Tiāntái primo monasteroTiāntái |
581 | L'imperatore Wén (文) della Dinastia Sui riunifica la Cina e si proclama Cakravartin (轉輪聖王 zhuǎnlún shèngwáng), il re universale che governa mediante il Dharma buddhista |
594 | Zhìyǐ compila il Móhē Zhǐguān (摩訶止觀), il primo trattato cinese sulla meditazione |
VI sec. | Tánluán (曇鸞) fonda nel monastero di Xuánzōng (玄宗), la scuola Jìngtǔ (淨土宗) (Terra Pura) |
VI sec. | Il letterato Xún Jǐ (荀濟) pubblica il Lun fojiao biao attaccando duramente le comunità buddhiste |
VI sec. | Tánqiān (曇遷) fonda la scuola Shèlùn (攝論宗) basata sugli insegnamenti cittamātra. Questa scuola verrà assorbita nel VII sec. dalla scuola Fǎxiāng (法相宗) |
625 | Il monaco coreano Hyegwan (coreano 혜관, cinese 慧灌 Huìguàn, giapponese Ekan) fonda in Giappone la scuola Sanron basata sul lignaggio e gli insegnamenti della scuola cinese Sānlùn (三論宗, coreano Samron) |
645 | Xuánzàng (玄奘), rientra a Chang'an, da dove era partito nel 629 per un viaggio lungo l'India e fonda la scuola Fǎxiāng basata sugli insegnamenti cittamātra |
653 | Il monaco giapponese Dōshō (道昭) di ritorno dalla Cina fonda in Giappone la scuola Hosso seguendo il lignaggio della scuola cinese Fǎxiāng |
685 | Il monaco Fāzàng (法藏) diffonde presso la Corte imperiale le dottrine dell'Avataṃsakasūtra (華嚴經, Huāyánjīng, conservato nello Huāyánbù) fondando di fatto la scuola Huāyán (華嚴宗) |
693 | L'imperatrice Wǔ Zétiān (武則天) della Dinastia Tang si proclama Jīnlún shèngshén huángdì (金輪聖神皇帝, Sacra sovrana della Ruota d'Oro), perseguendo una decisa politica a favore del Buddhismo |
695 | Yìjìng (義淨) rientra a Luòyáng, era partito da Canton nel 671 per un viaggio lungo l'India e lo Sri Lanka |
695 | il monaco khotanese Śikṣānanda giunge a Luòyáng su invito dell'imperatrice Wǔ Zétiān e avvia una traduzione dellAvataṃsakasūtra |
VII sec. | Presunto incontro tra Dàoxìn (道信) e il III patriarca del Chán Sēngcàn (僧璨) sul Monte Lú |
VII sec. | Dàoxìn fonda sul Monte Dòngshān (東山) (oggi nell'Hubei) il primo monastero Chán |
VII sec. | Dàoxuān (道安) fonda la scuola Lǜ (律宗) basata sul Vinaya Dharmaguptaka, presto tutte le scuole buddhiste cinesi adotteranno questo Vinaya |
713 | Bodhiruci completa la prima traduzione del Ratnakūṭasūtra (大寶積經, Dà bǎojī jīng, è conservato nel Bǎojībù) |
720 | Il maestro indiano di scuola Vajrayāna, Vajrabodhi (671-741), sbarca a Guǎngzhōu proveniente da Sri Lanka. Nello stesso anno Vajrabodhi ordina monaco il suo allievo Amoghavajra (705-774) giunto cinque anni prima in Cina da Samarcanda |
724 | Subhākarasiṃha e Yīxíng (一行) completano la prima traduzione del Mahāvairocanāsūtra (大日經, Dàrì jīng), fondando la scuola di impronta Vajrayāna denominata Zhēnyán (眞言宗) |
740 | Il monaco coreano Simsang (cinese 審祥 Shěnxiáng), fonda in Giappone la scuola Kegon basata sul lignaggio e gli insegnamenti della scuola cinese Huāyán (華嚴宗) |
751 | Il generale di origini coreane Gāo Xiānzhī (高僊芝, ?-756) al comando di truppe cinesi viene sconfitto, vicino al fiume Talas, da un esercito arabo condotto da Ziyad ibn Salih. È il primo scontro tra arabi musulmani e cinesi. Da questo momento l'islamizzazione forzata dell'Asia centrale non incontrerà più ostacoli. |
754 | Il monaco cinese Jiànzhēn (鑑眞, 688–763) fonda in Giappone la scuola Ritsu basata sugli insegnamenti della scuola cinese Lǜ (律宗, Lǜ zōng) |
800 | Il monaco chán Bǎizhàng Huáihái (百丈懷海, 720-814), modificando il Vinaya Dharmaguptaka, introduce il lavoro per i monaci. Questo evento consentirà alla scuola Chan di sfuggire alle persecuzioni dell'845 |
805 | Il monaco giapponese Saichō, rientrato da un pellegrinaggio in Cina, fonda la scuola Tendai che eredita il lignaggio e gli insegnamenti dalla scuola cinese Tiāntái |
806 | Il monaco giapponese Kūkai, rientrato da un pellegrinaggio in Cina, fonda la scuola Shingon che eredita il lignaggio e gli insegnamenti dalla scuola cinese Zhēnyán |
819 | Il famoso letterato confuciano Hán Yù (韓愈) invia alla Corte un memoriale contro le religioni straniere, con particolare riguardo al Buddhismo |
845 | L'imperatore Wǔzōng della Dinastia Tang scatena la terza e più grande persecuzione anti-buddhista nella Storia della Cina. Decine di migliaia di templi vengono distrutti e 250 000 monaci costretti a tornare allo stato laicale. Il Buddhismo cinese sopravviverà, ma non riconquisterà più i fasti e la credibilità culturale dei secoli precedenti |
960 | La Dinastia Song abolisce le norme anti-buddhiste, ma prosegue la marginalizzazione della cultura buddhista, rispetto a quella confuciana e daoista |
983 | Prima edizione xilografica del Canone buddhista cinese |
1068 | Viene varata una Legge che permette l'acquisto dello status di monaco buddhista dietro il pagamento di una somma di denaro. Condizione vantaggiosa per chi voleva essere esentato dalle tasse. Il saṃgha buddhista subisce un ulteriore svilimento spirituale e culturale senza precedenti |
1133 | Il monaco tiantai, Máo Zǐyuán, fonda la setta del Loto Bianco (白蓮教, Báiliánjiào) che si diffonde presto nelle campagne ed è all'origine dei successivi movimenti rivoluzionari |
1175 | Il monaco giapponese tendai, Hōnen (法然), fonda la scuola Jōdo-shu che eredita gli insegnamenti della scuola cinese Jìngtǔ (淨土宗) |
1191 | Il monaco giapponese tendai, Eisai, di ritorno da un pellegrinaggio in Cina diffonde gli insegnamenti della scuola Chán Línjǐ (臨濟) (giapp. Zen Rinzai) |
1227 | Il monaco giapponese tendai, Dōgen, di ritorno da un pellegrinaggio in Cina fonda la scuola Zen Soto che riprende il lignaggio e gli insegnamenti della scuola cinese Chán Caódòng (曹洞) |
1260 | I mongoli della Dinastia Yuan impongono alle scuole buddhiste cinesi il controllo da parte di lama tibetani. I monasteri buddhisti cinesi divengono occasione del riscatto popolare cinese anti-mongolo |
XVI sec. | Il monaco chán Zhū Hóng (株宏, 1535-1615) diffonde la pratica della recitazione del nome di Amitâbha nei monasteri Chán come pratica del gōng'àn (公案), caratterizzando il successivo Buddhismo Chán |
1564 | Il monaco cinese chán Yǐnyuán (隱元) giunge in Giappone dove fonda la scuola Zen Ōbaku (黃蘗) caratterizzata dalla pratica dello zazen, dei kōan e dalla recitazione del nembutsu |
1603 | Il gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, pubblica il Tiānzhǔ shíyì (天主實義) in cui attacca la dottrina buddhista definendo il Buddha 'arrogante'. |
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