Confucio (cinese 孔子
Kǒng Fūzǐ, Wade-Giles: K'ung-fu-tzu; 28
settembre 551 a.C. – 479 a.C.) è stato un filosofo
cinese.
Confucio è stato il primo ideatore e
promotore di un pensiero originale, inedito nel panorama culturale
cinese del VI-V secolo a.C.: il suo insegnamento può essere
sintetizzato come "il tentativo di elaborare una concezione
etica dell'uomo nella sua integralità e universalità", vale a
dire che Confucio tentò di fornire una serie di indicazioni
relativamente a quale sia il modo migliore in cui l'uomo può
condurre la sua esistenza, tenendo conto di tutti gli aspetti più
importanti della natura umana. Ciò comportò non soltanto
l'individuazione e la ridefinizione del significato di che cosa possa
significare di preciso "essere umani", ma anche la proposta
da parte di Confucio di un nuovo modello per la realizzazione di sé,
giudicato compatibile con l'edificazione di una comunità umana
prospera e armoniosa.
L'insegnamento di Confucio si è
rivelato determinante per lo sviluppo del pensiero cinese: è lecito
affermare che dopo la sua morte nessuna delle scuole di pensiero,
delle correnti filosofiche e dei pensatori che si susseguirono in
Cina poté prescindere dal confrontarsi con quella che si presenta
come una vera e propria "figura fondatrice".
Finché fu in vita Confucio poté
contare su una discreta cerchia di discepoli, ma fu in particolare
dopo la sua morte che i suoi insegnamenti attrassero una lunga serie
di pensatori, letterati, studiosi, i quali approfondirono e
rielaborarono i temi del suo insegnamento, dando vita a un movimento
di pensiero che la storiografia cinese etichettò a posteriori come
Confucianesimo.
L'insegnamento di Confucio ha avuto un
grandissimo impatto sullo sviluppo della cultura, della storia e
degli stili di vita di quei paesi asiatici in cui si diffuse, a
partire dalla Cina per proseguire con la Corea, il Giappone e il
Vietnam.
Il principale testo di riferimento per
avvicinarsi al pensiero di Confucio sono i Dialoghi (Lùnyǔ
論語), una raccolta di
aforismi e frammenti attribuiti al Maestro che in realtà è il
frutto della selezione operata dai suoi discepoli delle generazioni
successive.
Il pensiero confuciano fu introdotto in
Europa nel XVII secolo ad opera dei gesuiti che nel corso delle prime
missioni in Cina si impegnarono nello studio della lingua cinese e
nella traduzione di alcune opere della letteratura cinese classica.
Al loro lavoro si deve la prima latinizzazione del nome cinese in
Confucius.
Biografia
Confucio visse in Cina nell'ultima
parte del Periodo delle primavere e degli autunni (781 a.C. – 477
a.C.), un'epoca di anarchia, d'instabilità politica e di diffusa
corruzione, dominata dalle guerre tra stati feudali, che – senza
soluzione di continuità – si trascinerà nell'epoca successiva, il
Periodo dei regni combattenti (453 a.C. - 221 a.C.), che culminerà
con l'unificazione della Cina sotto un unico sovrano.
Secondo la tradizione, Confucio nacque
nello Stato di Lu (ora parte dell'odierna provincia di Shandong) nel
551 a.C., durante il Periodo delle primavere e degli autunni. In
quest'epoca si situa anche l'inizio del movimento filosofico delle
Cento scuole di pensiero.
Sempre secondo la biografia
tradizionale, riportata da Sima Qian nelle sue Memorie di uno
storico, il padre di Confucio, Shuliang He, apparteneva ad una
famiglia nobile impoverita discendente dalla dinastia Shang e aveva
sposato a sessantacinque anni, in seconde nozze, una fanciulla di
quindici anni, Yan Zhengzai. Un matrimonio del genere, secondo le
consuetudini dell'epoca, era da considerarsi un'unione illecita (yěhé
野合). Secondo alcune leggende
tardive, la nascita di Confucio fu accompagnata da eventi
straordinari (il neonato fu visitato da dragoni ed esseri divini e si
sentì una musica celestiale), ma tali leggende sono respinte dai
confuciani ortodossi, di tendenze razionaliste. Confucio perse il
padre all'età di tre anni, e fu allevato dalla madre, che riuscì ad
assicurargli un'istruzione anche se la famiglia viveva in povertà.
Non ci sono notizie certe sulla vita di
Confucio. La sua ascesa sociale lo pone nell'ambito della classe
emergente Shì (士), a
metà tra la vecchia nobiltà e la gente comune, alla quale, come
Confucio, appartenevano uomini di talento ma di origini modeste che
cercavano di raggiungere una posizione elevata grazie alle proprie
doti intellettuali. Egli stesso, riferiscono i Dialoghi,
vantava le sue umili origini che lo avrebbero spinto a sviluppare le
sue capacità. Molto della vita del filosofo è pervenuto dalla
raccolta postuma dei "Detti di Confucio", redatta dai suoi
discepoli attorno al 411 a.C. – 404 a.C., seppure la datazione
della compilazione è tuttora discussa. In tale opera è esposto il
pensiero filosofico – morale, così come si illustrano i precetti
dettati dal maestro.
Infine, vari capitoli trattano della
vita privata di Confucio. Si legge che dettò i suoi pensieri ai suoi
discepoli molto avanti negli anni (capitolo 7.5), che era moderato e
parco (capitolo 7.16), che seguiva una vita molto appartata e modesta
preferendo la campagna alla città (capitolo 7.19), che digiunava
spesso e volentieri (capitolo 7.13) e mangiava procacciandosi il cibo
da sé e cucinandolo di persona (capitolo 7.27), che amava insegnare
non ricevendo compenso ma unicamente qualche piccola offerta in
natura (capitolo 7.29), che la scuola attirava molti adepti fino a
diventare elitaria (capitolo 8.9) e molto additata ad esempio di
educazione (capitoli 8.13 - 8.17), ma che al contempo dava fastidio
ai potenti che emarginarono il maestro e la scuola perché davano
fastidio (capitolo 9.2), tanto che dovettero fuggire ed il maestro
stesso rischiò la vita (capitoli 9.5 e 11.23), che furono costretti
a ripiegare su umili e miseri mestieri pur di vivere (capitoli 9.6 -
9.7), che vissero per un certo periodo in esilio fuori dalla Cina
(capitolo 9.14), ma anche che la scuola divenne negli ultimi tempi
assai interessante per le autorità di diversi stati feudali in cui
al tempo la Cina era suddivisa (capitolo 11.7) e che il maestro
nell'ultima decade di vita divenne ambasciatore e rispettato uomo di
corte (capitoli 10,2 - 10.4; capitoli 10.15 - 10.20), nonostante la
morte del figlio Li (capitolo 11.8) e dell'allievo prediletto Yan Hui
(capitoli 11.7 - 11.11) ed il tradimento dell'allievo Rau Qin
(capitolo 11.17). Anche molti dei suoi allievi – vi si legge –
fecero carriera sia durante la vita del maestro, che dopo la sua
dipartita (capitoli 11.24 - 11.25). Secondo Mencio (370 a.C. – 289
a.C.), Confucio si sarebbe occupato dell'amministrazione di negozi e
di pascoli e bestiame.
Probabilmente svolse compiti
amministrativi per il governatore della provincia. Sima Qian
riferisce che dopo i cinquant'anni Confucio divenne ministro della
giustizia del duca di Lu, ma fu in seguito costretto a dimettersi ed
andare in esilio. Iniziò quindi un lungo viaggio attraverso gli
Stati di Wei, Song, cercando impiego presso i governanti come
consigliere.
Tornato nello Stato di Lu, trascorse
gli ultimi anni dedicandosi agli studi e all'insegnamento, circondato
da un numero crescente di discepoli.
Insegnamenti
La visione di Confucio si fondava sui
principi di un'etica individuale e sociale basata sul senso di
rettitudine e giustizia (義),
sull'importanza dell'armonia (和)
nelle relazioni sociali, codificate secondo precise norme etiche e
rituali (禮)
mutuate dalla tradizione culturale dell'antichità. L'osservanza di
tali norme consente di disciplinare le relazioni umane e garantisce
l'ordine sociale mediante il rispetto delle gerarchie familiari e
sociali. Grande importanza viene data ai sentimenti di lealtà (信)
ed empatia nei confronti del prossimo, all'apprendimento inteso come
percorso di studio, pratica e riflessione, e alla messa in pratica
delle conoscenze apprese per il miglioramento di sé e della comunità
umana.
Confucio non ha lasciato opere scritte
di suo pugno. Il suo insegnamento è raccolto nei Dialoghi,
una raccolta di frammenti di conversazioni, aneddoti e insegnamenti
che hanno come protagonista il Maestro stesso e alcuni dei suoi primi
discepoli. Questi episodi, con ogni probabilità inizialmente
tramandati solo in forma orale, sono stati messi per iscritto dai
discepoli delle generazioni successive, fino a prendere l'assetto
definitivo e costituire il libro noto ancora oggi come I Dialoghi
di Confucio (che si può far risalire con certezza perlomeno al
III secolo a.C).
Il testo dei dialoghi è costellato di
enunciazioni di principi morali, esempi di buona condotta, brevi
aneddoti e dialoghi composti di poche battute. Confucio non proponeva
un insegnamento sistematico, ma invitava i suoi discepoli a
riflettere profondamente su se stessi e sul mondo, approfondendo la
conoscenza del passato da cui trarre insegnamento tramite lo studio
degli antichi testi. Egli si presentava come un "messaggero che
nulla ha inventato", il cui compito è quello di trasmettere la
sapienza degli antichi. Grande importanza è data allo studio: il
primo frammento con cui inizia il libro si apre proprio col carattere
cinese che indica lo studio, xué (cinese semplificato: 学,
cinese tradizionale: 學).
Proprio l'amore per lo studio e la
volontà di migliorarsi sono gli unici requisiti che Confucio pone
agli altri per divenire suoi discepoli. Questa apertura
dell'insegnamento a chiunque, senza distinzioni di classe o di
reddito, è uno dei motivi per cui in Cina egli è noto come il primo
"Maestro" della tradizione cinese (inteso nel senso stretto
di insegnante). È d'obbligo precisare che sebbene di famiglia non
più ricca, Confucio apparteneva comunque alla piccola nobiltà, e il
suo insegnamento era orientato alla formazione di futuri uomini di
potere. Ciò non toglie che nei termini in cui il Maestro lo
espresse, il suo pensiero fosse formalmente aperto a tutti, non solo
ai figli della nobiltà.
Confucio proponeva ai suoi discepoli un
cammino di perfezionamento della propria persona, un percorso di
miglioramento delle proprie qualità morali e umane, al fine di
imparare a condurre la propria vita in maniera corretta e virtuosa,
imparando a comportarsi in maniera opportuna in qualunque situazione,
mettendo in pratica in ogni momento gli ideali di giustizia e
rettitudine che secondo Confucio sono le qualità peculiari che
distinguono l'uomo da tutti gli altri esseri viventi. Il modello che
Confucio proponeva è quello dell'uomo virtuoso, il jūnzi
(君子,
talvolta tradotto come "uomo superiore". Al tempo di
Confucio questo termine indicava esclusivamente la nobiltà di
sangue, ma egli ne trasformò il significato, rendendolo sinonimo di
nobiltà d'animo). Questo termine indica l'ideale confuciano
dell'uomo che ha raggiunto la perfetta padronanza di tutte le norme
di condotta che regolano la propria vita personale e sociale, che sa
come comportarsi in ogni situazione, conosce il giusto modo di
comportarsi e di prestare il dovuto rispetto nei confronti delle
persone che gli sono intorno, andando dai familiari più stretti sino
al sovrano in persona.
L'insegnamento di Confucio non è di
tipo sistematico: ciò significa che il maestro non procede a partire
dalla definizione di principi filosofici o morali (sebbene nei
dialoghi a più riprese i discepoli chiedano a Confucio delle
definizioni esplicite dei concetti di cui egli si serviva quali
mansuetudine, rettitudine, benevolenza, - domande cui il Maestro
risponde ogni volta eludendo la richiesta di una definizione
univoca), ma preferisce invece proporre dei modelli di comportamento.
L'insegnamento di Confucio fa perno sull'esempio. Il Maestro
fa l'esempio di se stesso, ma invita i discepoli a guardare molto più
indietro nel tempo e a ispirarsi ai grandi saggi e re del passato,
figure mitiche della tradizione cinese: maestosi re, fondatori di
dinastie, ecc. Secondo Confucio sarebbero queste figure storiche
(nell'ottica in cui le vede la tradizione cinese esse sono
"storiche", ma si tratta spesso di figure ammantate di
un'aura mitica, come i fondatori della dinastia Zhou) che incarnano
gli ideali di virtù e corretta condotta, esempi da seguire a cui
rifarsi per ritrovare un cammino degno dell'uomo.
Secondo Confucio, sebbene i grandi del
passato siano morti da secoli, le loro gesta rimangono fedelmente
immortalate nelle pagine dei testi classici della tradizione cinese.
Essi sono il luogo d'eccellenza su cui deve avvenire la formazione
dell'uomo virtuoso. Per avere accesso a questi testi, il passaggio
fondamentale e indispensabile diviene quello dello studio. Da qui
l'enfasi confuciana per l'apprendimento, inteso come un processo di
formazione culturale e morale, che passa per l'accesso alla
letteratura della grande tradizione cinese e che si deve compiere
nella messa in pratica quotidiana delle norme morali assimilate
ispirandosi agli episodi della vita dei re e saggi del passato. Il
rapporto con la tradizione e il passato (intesi in chiave storica e
culturale) è un elemento chiave nel pensiero di Confucio, e uno dei
motivi per cui si attribuisce al Maestro stesso l'opera di
canonizzazione dei testi classici della tradizione cinese. Ciò
significa che alcuni di quelli che sono oggi considerati Classici del
pensiero cinese di epoca pre-imperiale sarebbero rimasti tali proprio
grazie al fatto che Confucio stesso li indicò come testi di
importanza capitale per la formazione culturale e morale dell'uomo.
La tradizione ha attribuito a Confucio l'edizione e la cura dei
Cinque Classici, ma non esiste certezza documentale che permetta di
ricollegare direttamente l'intervento di Confucio su alcuno di questi
testi, alcuni dei quali sono comunque direttamente citati dal Maestro
nei Dialoghi.
La messa in pratica delle qualità
morali apprese attraverso lo studio coincide con l'impegno a condurre
virtuosamente la propria esistenza, investendo di quest'aura morale
tutte le proprie relazioni umane. In questo modo la virtù (德)
si può diffondere per cerchi concentrici, prima nella cerchia
ristretta dei propri familiari più intimi, e poi a distanza
crescente, fino a includere l'intera comunità umana. In sostanza, si
tratta di porre le proprie virtù e qualità morali e umane al
servizio della collettività, per garantire il miglioramento e
l'armonizzazione delle relazioni tra tutti i suoi componenti, secondo
le norme rituali codificate dalla tradizione. Da qui si capisce come
questo modello che vede l'intellettuale porsi al servizio della
comunità umana potrà diventare l'elemento chiave per la formazione
culturale e morale e la definizione del ruolo e dello scopo di un
intero ceto di funzionari, burocrati e amministratori durante i
successivi secoli delle dinastie imperiali.Solo uomini.
Secondo Confucio, il sovrano che avesse
saputo conformare la propria condotta alle qualità morali tramandate
dalla tradizione, si sarebbe posto nell'alveo dei grandi re del
passato, e avrebbe saputo unificare sotto il proprio trono i vari
popoli ricorrendo non alla forza delle armi, ma alla potenza della
virtù che sarebbe irradiata dalla sua stessa persona, e che avrebbe
portato le popolazioni a seguirlo spontaneamente in quanto
espressione vivente di un modello di virtù e benevolenza, capace di
garantire prosperità al suo popolo. Secondo Confucio questa sarebbe
stata la vera soluzione allo stato di guerra permanente che
imperversava durante il periodo dei Regni Combattenti. Per esprimere
questa sua convinzione egli si servì del concetto di Mandato del
cielo (天命 pinyin: Tiānmìng),
termine che indica il fatto che chi si trova sul trono imperiale è
ivi seduto in quanto gode del favore del cielo, e che eventuali
cacciate di dinastie e insediamenti di nuovi sovrani vanno letti a
posteriori come l'espressione del venir meno del favore del Cielo nei
confronti della dinastia sconfitta, e la nuova approvazione del Cielo
nei confronti di quella vittoriosa. In passato ci si era serviti di
questo termine per indicare il diritto di una dinastia al
mantenimento del potere su base ereditaria, salvo che essa non
venisse spodestata con la forza da una forza esterna. Al contrario,
l'interpretazione confuciana del Mandato del cielo era
innovativa, poiché egli pensava ad un trono sul quale si sarebbero
succeduti sovrani scelti sulla base della loro statura morale, non
della parentela di sangue, capaci di diffondere la virtù fra il
popolo senza il bisogno di leggi dure e restrittive.
Come è noto, il pensiero di Confucio
non godette di molto riconoscimento e successo nell'ambito delle
corti feudali nell'epoca in cui visse il Maestro, ma divenne un
elemento sempre più importante nel panorama culturale cinese con il
passare dei secoli, specie dopo la fondazione della dinastia Han.
Discepoli
Confucio ebbe molti discepoli e
seguaci, in Cina e in Estremo Oriente.
I discepoli di Confucio e il suo unico
nipote, Zi Si, assicurarono continuità agli insegnamenti filosofici
del maestro dopo la sua morte. Pur basandosi sul pensiero etico e
politico confuciano, due dei suoi seguaci più celebri, Mencio (IV
secolo a.C.) e Xunzi (III secolo a.C.) ne enfatizzarono aspetti
radicalmente diversi tra loro, anche sulla questione
dell'autoritarismo.
Durante la dinastia Song, Zhu Xi
(1130-1200) rinnovò il confucianesimo con idee mutuate dal taoismo e
dal buddhismo. Il rinnovamento operato da Zhu Xi divenne in seguito
un'ortodossia incontestata. Solo con l'avvento della Repubblica
popolare cinese si è abolito l'insegnamento dei Quattro Libri e dei
Cinque Classici confuciani.
Il pensiero confuciano
Durante la dinastia Han (206 a.C.–220
d.C.) il pensiero di matrice confuciana godette di una considerazione
assai preminente rispetto ai pensatori le cui dottrine esprimevano
temi legisti o taoisti, al punto che durante il regno dell'imperatore
Wu lo studio dei Classici ricevette un grande impulso.
Sotto l'impulso di illustri interpreti
dell'originale pensiero di Confucio, quali furono Mencio e Mozi, si
assistette allo sviluppo di una vera e propria corrente di pensiero,
dotata di un corpus canonico di testi di riferimento, che si
arricchirono nel corso dei secoli di decine e decine di eruditi
commentari.
Gli imperatori Cinesi si avvalsero del
pensiero confuciano per costruire una ideologia funzionale alla
gestione dello stato imperiale: i precetti e i testi del
Confucianesimo divennero il fondamento ideologico comune di intere
generazioni di burocrati e funzionari imperiali, e la sua concezione
dei rapporti tra sudditi e sovrano, e più in generale tra l'uomo
colto e la comunità in cui egli si trova ad operare, influenzarono
profondamente l'intera società cinese.
Dopo alcuni secoli, Confucio stesso
venne divinizzato, e gli vennero tributati onori e riti sacrificali.
Nomi
- Confucio alla nascita si chiamava 孔丘 (Kǒng Qiū). 孔 è un nome di famiglia (l'equivalente del nostro cognome) piuttosto comune in Cina. Il suo nome di cortesia era 孔仲尼 (Kǒng Zhòng Ní).
- In Cina è noto come 孔夫子 (Kǒng Fūzǐ, Wade Giles: K'ung fu-tzu) e 孔子 (Kǒngzǐ, Wade-Giles: K'ung-tzu), alla lettera maestro Kong. I due suffissi che seguono il nome di famiglia sono un termine onorifico che si può infatti tradurre con "maestro", in segno di riverenza e rispetto.
- Il termine latino Confucius è la forma latinizzata di Kong Fuzi, pronuncia approssimativa dei caratteri 孔夫子 utilizzata all'epoca delle prime missioni gesuite in Cina. Il primo utilizzo documentato di questo termine latino risale al 1687, anno in cui vengono date alle stampe le traduzioni latine di alcuni classici della tradizione confuciana. Da allora questa forma latina si impose nei paesi occidentali, finendo per diventare di uso comune ancora oggi.
- I nomi postumi più famosi attribuiti a Confucio nel corso della storia cinese sono:
- 褒成宣尼公 (Bāochéngxūan Ní gōng), il primo nome postumo (I secolo d.C.)
- 至聖先師 (至圣先师, Zhìshèng xiānshī), oppure separatamente 至聖 (至圣, Zhìshèng) e 先師 (先师, Xiānshī);
- 萬世師表 (万世师表,
Wànshì shībiǎo).
Genealogia
L'albero genealogico della famiglia
Kong è tra i più lunghi del mondo. La successione generazionale di
padre in figlio sarebbe stata registrata fin dalla morte di Confucio:
stando ai risultati dell'agenzia che tiene traccia della discendenza
della famiglia Kong, nel 2015 si sarebbe giunti alla 83sima
generazione dopo Confucio. Appartenenti alla famiglia Kong vivono
ancora oggi a Qufu, sua città natale, ma molti rami sono sparsi per
altre provincie della Cina o in altri stati quali la Corea del Sud.
Un importante ramo della famiglia Kong è emigrato a Taiwan dopo le
vicende della guerra civile cinese.
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