giovedì 4 agosto 2022

Liberati della tua forza

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"Liberati della tua forza" risulta essere una delle armi vincenti per affrontare il Chi Sao ("mani appiccicose", uno degli esercizi propri dello stile), ma non solo. Approfondiamo l'argomento.
Anzitutto, partiamo dalla considerazione che l'energia non è la forza. L'energia è un concetto interiore che si può esprimere esteriormente anche senza l'utilizzo della forza, anzi, spesso e volentieri è proprio l'assenza di forza a donare l'energia necessaria e sufficiente per affrontare un combattimento. Quando costruiamo un ponte (Kiu) tra noi e l'avversario, creiamo una pressione energetica. Quando la forza prende il sopravvento sulla pressione si dà uno stimolo all'avversario, che avrà maggiori possibilità di liberarsi di noi e della nostra forza. Ecco perché bisogna sempre togliere la forza durante il contatto, ma creare la giusta tensione tendinea e muscolare, che ci permetta di controllare e gestire sia il nostro equilibrio, sia le forze avversarie in entrata.
Ora, in molti si chiedono se il punto di contatto-pressione debba essere quello in cui si concentra l'energia. La risposta ovvia dovrebbe essere "assolutamente sì, in assenza di forza", ma risulterebbe di difficile comprensione. Ecco, allora, che dobbiamo analizzare la questione senza frasi fatte, per permettere la comprensione di questo principio di straordinaria importanza. Liberarsi della propria forza significa non dare stimoli all'avversario, creare il vuoto. Nel punto di contatto deve concentrarsi l'energia, cioè l'attenzione interna del praticante, non certo la forza. Contrapporre forza a forza equivale ad escludere la possibilità di azione da entrambe le parti. Allora, come si reagisce ad uno stimolo su un punto di contatto? Si elimina la forza, si crea un equilibrio di energia, si risponde con un attacco Yang o con un attacco Yin - avete letto bene, un attacco Yin! - e poi si ritorna in una posizione di equilibrio.
Liberarsi della forza non signifa essere debole o "svuotarsi" (quante volte l'avremo sentita questa parola?!) ad ogni attacco, come viene mal interpretato altrove, ma, più correttamente, impedire alla propria forza muscolare di bloccare la fluidità dell'energia, convogliandola in un solo punto. Ecco, questo mi sembra importante da sottolineare. Ciò significa che la forza va utilizzata nella giusta maniera ovvero attraverso linee di forza poste su angoli specifici, ma all'interno di un lavoro posturale, alla ricerca dell'equilibrio, della stabilità e dell'elasticità del movimento, altrimenti sarebbe inutile praticare la nostra stupenda arte marziale.
Credo che questo principio di cui parliamo sin dai primi giorni nella palestre sia importante per sottolineare il concetto di "fluire", di "fluidità", di "armonia". Ricordiamoci sempre che il nostro obiettivo è quello di diventare "acqua", la sostanza che scorre dolcemente o impetuosamente, con la sua carica esplosiva e devastante, sia nella sua componente, la goccia (che scava la roccia), sia nella sua interezza, che distrugge e travolge.
Non dobbiamo permettere che le nostre reazioni istintive e piene di forza ci facciano bloccare. È pur vero che dobbiamo usare i muscoli, ma in modo adeguato, verso delle direzioni e delle linee di forza ben precise, che ci rendano in grado di cambiare le stesse linee, mantenendo la pressione costante, evitando i buchi, tenendo vivi i ponti che abbiamo instaurato ed affondando quelli costruiti dall'avversario. Solo in questo modo possiamo fluire. Ecco perché utilizziamo in maniera preponderante la catena muscolare posteriore dei dorsali, dei tricipiti e degli stabilizzatori della spalla, con particolare attenzione a non utilizzare eccessivamente bicipiti, pettorali e spalle. Ora, però, è anche importante liberarci dalla teoria troppo "muscolare", perché rischia di essere controproducente per il praticante. Non vi fossilizzate mai su un muscolo o su un altro. Abbiate una visione olistica, totale, del corpo.
Approfondiamo un momento la questione legata alla forza, alla pressione e alla sensibilità. Partiamo dal presupposto che, secondo la mia esperienza, solo durante lo studio del Chi Sao si comprende, si affina e si percepisce realmente ed adeguatamente. Nel Chi Sao possiamo approfondire il significato di forza, pressione, stabilità e sensibilità, morbidezza e flessibilità.
Con il termine forza (Li) io intendo l'utilizzo della muscolatura, che permette di sviluppare l'esplosività verso l'avversario, appena si presenta l'occasione, ovvero la quantità di energia sprigionata con un colpo. Ovviamente la forza è allenabile oltre l'Arte in sé, anche mediante l'utilizzo di pesi, esercizi fisici e mirati alla crescita muscolare. Molti ritengono errato usare il termine "forza", perché pensano che la potenza dei colpi debba essere solo di natura tendinea. Io, invece, penso che la muscolatura debba essere usata nella giusta misura: la forza deve essere il risultato della tensione dinamica della muscolatura che viene liberata quando scompare l'ostacolo, oppure quando prendiamo un angolo favorevole. La tensione è indotta in parte da noi (la pressione), in parte dall'avversario, che con il suo attacco carica le nostre "molle". Solo col movimento del corpo si può formare un attacco completo e non solo di natura muscolare.
Con pressione, invece, intendo l'energia costante sviluppata verso l'avversario, che permette di rimanere in equilibrio e di sbilanciare chi abbiamo davanti. La pressione non utilizza movimenti muscolari di potenza, ma con il solo fluire dell'energia sprigionata dalla corretta postura e dal giusto utilizzo della colonna vertebrale - nonché dall'allungamento tendineo -, aiutandosi con il corretto uso degli angoli di attacco, permette di mantenere una costante energia, che crea un'aurea intorno al praticante, come se fosse immerso in una sfera. La pressione nasce spesso dal corretto utilizzo del gomito e dell'incastro dell'articolazione scapolo-omerale, ma non solo. Non complico ulteriormente il punto, altrimenti rischiamo di entrare in un campo minato.
Con sensibilità, infine, intendo la capacità di sviluppare una risposta fluida e flessibile agli impulsi emanati dall'avversario, senza mai lasciar da parte gli altri due concetti di forza e pressione. Probabilmente il concetto di sensibilità è quello più frainteso (o dibattuto, dipende dai punti di vista) dai praticanti di Wing Chun di tutti i lineage. Secondo me non deve esistere una sensibilità consapevole. La nostra azione non deve essere il risultato di un processo logico (input-elaborazione-output), ma il frutto di reazioni spontanee di una struttura muscolo-scheletrica abituata ad operare secondo certi principi. Per non appesantire troppo la questione, diciamo che la sensibilità non deve essere un "programma" (processo logico) che gira nel nostro computer (cervello), bensì il "sistema operativo" (struttura). Ad ogni modo credo che l'idea di sensibilità epidermica sia una conclusione cui si è arrivati per cercar di far capire il concetto ai giovani praticanti Wing Chun, ma che li abbia portati ad un erroe grossolano. In breve, ritengo che la sensibilità "a pelle" sia una sciocchezza: come conferma, vi chiedo di provare a fare Chi Sao con le braccia bagnate dal sudore. Lì scompare ogni capacità semplicemente tattile ed entrano in gioco solo le capacità del vostro sistema. Bisogna capire quello che avviene 'ascoltando' l'aumento o la diminuzione delle tensioni muscolari e, in base ai cambiamenti, avere la capacità di lavorare sugli angoli di attacco, modificando le articolazioni in maniera corretta. Dal duro - non rigido -, spesso, nasce il morbido - non debole -. Da qui, un principio che non tratto qui, ora.

Sicuramente l'uso del termine "liberati" presuppone l'esistenza di un vincolo, di un impedimento, di una costrizione. Forse questo vincolo è rappresentato dalla forza - se vogliamo "rozza", "rigida" e "statica" -, che impedisce il fluire dell'energia, consentendo all'avversario di "aggrapparsi" ad essa, trovando un valido appiglio nel combattimento. Probabilmente, il fatto di vivere in questo tipo di società implica anche tutta una serie di acquisizioni negative, come, per esempio, l'utilizzo della forza per la risoluzione delle contraddizioni. Liberarsi della propria forza è anche un passaggio filosofico che implica il dimenticare se stessi ovvero estraniarsi dall'azione in sé. Sicuramente avrete notato come i migliori Maestri utilizzino meno forza rispetto agli allievi, proprio perché sono arrivati a questa consapevolezza: solo la presenza di energia genera la reazione fluida e flessibile, mentre la forza, al contrario, genera staticità e discontinuità.
Per controllare l'attacco dell'avversario non dobbiamo opporre resistenza muscolare e di potenza, ma essere morbidi e sinuosi, come il serpente. Dobbiamo imparare a muoverci caso per caso, secondo la sensibilità che acquisiamo con l'allenamento, da una parte, e con la consapevolezza che la nostra forza è solo un impedimento.
La metafora dell'acqua è fondamentale per capire il concetto espresso. Una volta divenuti acqua, ogni piccola insenatura verrà riempita dalla nostra energia, non rimarrà spazio per il vuoto e, nel caso si incontri una buona struttura dell'avversario, si creerà un equilibrio stabile, ci ritroveremo a inondare i suoi difetti o ad essere ben incollati alla sua stabilità, cercando di toglierla. Non a caso "se la strada non è libera incollati al tuo avversario", recita un altro motto legato alla strategia del combattimento.
Liberarsi della propria forza significa anche far scomparire la contrazione muscolare dovuta al nervosismo, alla rabbia, allo stress della vita quotidiana. Ecco che un principio della forza può avere una lettura filosofica ed esistenziale, che ci aiuta ad abbandonare lo stato mentale di disequilbrio per proiettarci in uno stato di assorbimento, di ricezione e di percezione delle forze esterne, alle quali saremo in grado di rispondere. Un corpo rilassato segue una mente rilassata. Un corpo libero segue una mente libera.
L'energia che si crea nella stabilità non è rigida, perché il corpo non è mai fermo. Il movimento è la chiave per la stabilità, anche se è un movimento interno. Ma ricordiamo pure che non si può essere stabili nel movimento se non si trova e non si sa essere stabili nella fase statica. Questo è un punto dirimente rispetto ad altri lineage. Se non testiamo la nostra capacità da fermi, non potremo passare ad analizzarla in movimento. Non passando per questo step, rischiamo di creare movimenti senza stabilità, ricercando solo la velocità di spostamento - esterno -, non dando spazio alla ricerca della stabilità posturale - interno -.
Nel fare Chi Sao, per esempio, bisogna mantenere sempre l'equilibrio generale, dato dalla distribuzione del peso, dall'angolazione, dalla posizione degli arti, dalle pressioni, etc. L'equilibrio generale deve mantenersi per tutta la durata dei movimenti. Però, fateci caso, il Chi Sao viene utilizzato nel momento in cui l'allievo ha preso coscienza della stabilità, perché senza questa, non sarebbe possibile durare un secondo di fronte ad un'altra persona. Ecco perché ne facciamo il cardine dello studio dei primi anni di apprendimento!
Andiamo ad analizzare lo scaricamento a terra della forza.
Partiamo dal presupposto che un corpo scarica naturalmente la forza a terra, sia che si muova sia che stia fermo, perchè è la struttura del corpo che porta le forze a scaricarsi. Nel momento in cui si rivolge la propria forza all'avversario (ad esempio "assorbendo" con un braccio e colpendo con l'altro) si scarica forza a terra, perché il movimento rotatorio può avvenire solo se c'è una buona stabilità. Lo scaricare a terra ha proprio il senso del radicamento, di cui abbiamo già parlato. Il radicamento è la sensazione di essere in equilibrio che si prova quando si assorbe la forza avversaria o quando si crea stabilità in assenza di forze (visibili).
Nel momento in cui impariamo a scaricare a terra l'energia entrante, grazie all'utilizzo delle corrette angolazioni, al cambio di peso su una gamba o sull'altra, al sistema osseo, articolare e tendineo-muscolare, ecco che possiamo accedere agli esercizi in movimento dedicati al combattimento. Non sto qui a spiegare come ci si libera della propria forza attraverso l'uso delle componenti appena descritte, ma vorrei solo richiamare alla mente il fatto che ogni esercizio posturale serve proprio a questo, ad imparare a liberarsi delle tensioni muscolari e della propria forza in generale, donando a terra ciò che non occorre. Vedremo successivamente come donare al cielo ciò che riprendiamo da terra.
Questo principio, in sostanza, è fondamentale, poiché solo attraverso lo sviluppo di esso è possibile rendere applicabili i tre principi successivi. Liberarsi della propria forza significa fare in modo che essa non rappresenti un ostacolo tra noi e il nostro avversario. Diventa fondamentale rendere la propria muscolatura flessibile e rilassata, in modo tale da sviluppare un'energia tale da essere paragonabile a quella di un'onda d'acqua. Tutto questo è possibile svilupparlo attraverso lo studio e la pratica della prima forma Siu Nim Tao, per iniziare.

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