domenica 2 maggio 2021

Yuen Siu-tien

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Yuen Siu-tien, conosciuto anche con i nomi di Yuan Xiaotian, Simon Yuen, Sam Seed o Ol' Dirty (cinese tradizionale: 袁小田; pinyin: Yuán Xiǎotián; jyutping: Jyun Siu tin; Pechino, 27 novembre 1912 – Hong Kong, 8 gennaio1979), è stato un attore e artista marziale cinese popolare alla fine degli anni '70. Il suo personaggio più popolare è indubbiamente quello di Beggar So, interpretato in tre film: Drunken Master, Story of Drunken Master e Dance of the Drunk Mantis. L'attore ha collaborato con artisti quali Jackie Chan, ed ha recitato anche sotto la direzione del proprio figlio Yuen Woo-ping. Yuen Siu-tien è morto di infarto nel 1979, all'età di 66 anni.


Carriera
Successo in età avanzata
Yuen Siu-tien ha iniziato a studiare recitazione interpretando il ruolo di Wu-Shen, un classico dell'opera di Pechino. Iniziò a recitare in ruoli cinematografici solo nel 1949, all'età di 37 anni, interpretando Kwan Tak Hing in Story of Huang Feihong, il primo film di Wong Fei Hung, ma più tardi venne conosciuto soprattutto come interprete di mentori e maestri di kung fu. Il suo film più importante internazionalmente uscì negli ultimi anni della sua carriera con il titolo di Drunken Master (1978), nel quale egli interpretava Beggar So, un vecchio eremita che aveva padroneggiato l'arte dello Zui Baxianquan ("stile degli otto immortali ubriachi"), insegnandolo ad un giovane Wong Fei Hung, interpretato da Jackie Chan. Il ruolo era ripreso, in tutto tranne che nel nome, da un altro personaggio da lui interpretato in un precedente film con Chan, Snake in the Eagle's Shadow (1978). All'epoca in cui uscì, Drunken Masterdivenne il film più di successo in cui recitava Jackie Chan. Il ruolo del famoso attore era quello di un Wong Fei Hung giovane, ribelle e vivace, opposto al personaggio del venerabile maestro confuciano di kung fu interpretato da Yuan. Il film fu un successo internazionale, e segnò l'epoca d'oro della carriera dell'attore allora già sessantacinquenne.
Durante la sua carriera, l'attore ha partecipato a quasi 150 film. Il suo ruolo più riconosciuto è quello di Beggar So, interpretato in una serie di altri tre film: Dance of the Drunk Mantis, Story of Drunken Master e, come cameo, World Of The Drunken Master.


Morte
L'8 gennaio 1979, Yuen Siu-tien morì di infarto miocardico acuto all'età di 66 anni. In quel periodo, l'attore stava lavorando al film d'azione Magnificent Butcher, insieme a Sammo Hung, nel quale avrebbe dovuto interpretare il ruolo di Beggar So. Dopo la morte fu rimpiazzato da Fan Mei-Sheng, il cui personaggio tuttavia non venne mai chiamato "Beggar So". Egli, infatti, riprese il ruolo che aveva nella pellicola Drunken Master, ed alcune scene di Yuen in Magnificent Butcher furono rigirate.


Ol' Dirty
Il rapper Ol' Dirty Bastard (ODB) ha preso il suo nome da uno dei film interpretati da Yuen, Ol' Dirty & The Bastard. Fino alla sua morte, avvenuta nel 2004, ODB è stato membro del gruppo rap Wu-Tang Clan. I suoi testi erano spesso ispirati ai film di kung fu degli anni '70.


Vita privata
Yuen era padre di undici figli, sei dei quali hanno lavorato o lavorano tuttora nell'industria cinematografica di Hong Kong. I primi cinque figli sono conosciuti collettivamente come il "Clan Yuen", ed hanno spesso lavorato singolarmente o insieme in diversi film:
  • Yuen Woo-ping - regista e direttore d'azione
  • Yuen Cheung-yan - attore e direttore d'azione
  • Yuen Shun-yee (Sunny Yuen) - attore e direttore d'azione
  • Yuen Yat-chor - attore
  • Yuen Chun-yeung (Brandy Yuen) - attore, stuntman e direttore d'azione
  • Yuen Lung-chu - attore
Yuen aveva altri due figli e tre figlie.


Eredità
I tratti somatici di Yuen Siu-tien sono stati usati per creare il personaggio di Chin Gentsai nel videogioco della SNK The King of Fighters, oltre che per il personaggio di Shun Di nella serie di videogiochi Virtua Fighter, ispirato al suo personaggio Su Hai del film Drunken Master.


sabato 1 maggio 2021

I 36 stratagemmi

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I Trentasei stratagemmi sono un trattato di strategia militare cinese che descrive una serie di astuzie usate in guerra, in politica e nella vita sociale, spesso tramite mezzi non ortodossi e ingannevoli. Il testo è stato scritto probabilmente durante la Dinastia Ming (1366-1610).


Scoperta e storia del testo
Nel 1939 in un mercato dello Shaanxi nella Cina del nord, un ufficiale del Guomindang scopre un libro di ricette sull'immortalità. Alla fine dell'opera si trova un breve trattato di strategia militare intitolato I Trentasei Stratagemmi. Il testo fu pubblicato da un editore locale nel 1941, ma divenne di dominio pubblico con la revisione pubblicata dal Partito Comunista Cinese sul giornale Guangming Daily (光明日報/光明日报) il 16 settembre 1961. Fu quindi ristampata e distribuita con popolarità crescente.


Origine
Il nome della raccolta deriva dal settimo volume del Libro dei Qi: Biografia di Wáng Jìngzé (王敬則傳/王敬则传). Wáng era un generale della Dinastia Qi del Sud (479-502). In seguito ad una ribellione, l'erede al trono era fuggito. Wáng commentò che «dei trentasei stratagemmi di Tán, la ritirata era il suo meglio». Il riferimento era a Tan Daoji (?-436), un generale al servizio della Dinastia Liu Song (420-479) che fu costretto alla ritirata dopo aver fallito un attacco contro i Wei del nord. Wáng lo cita come esempio di codardia.


Autore
I Trentasei Stratagemmi sono stati attribuiti a Sun Tzu del Periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C.-495 a.C.), oppure a Zhuge Liang del Periodo dei Tre Regni (220-280), ma non sono considerati i veri autori. L'opinione prevalente è che in origine il testo fosse una raccolta scritta e orale, con molte versioni differenti create da differenti autori durante il trascorrere dei secoli. Alcuni stratagemmi si riferiscono al tempo di Sun Bin, circa 150 anni dopo la morte di Sun Tzu.


Influenze letterarie
La raccolta è ispirata all'I Ching o Libro delle Mutazioni e alla filosofia legista. Il testo presenta influenze profonde di altre opere di primo piano della letteratura cinese come le favole di Han Fei Zi, la Storia dei Tre Regni e i proverbi Chengyu che fanno da titolo ai capitoli del trattato.


Struttura del testo
Il testo si apre con una breve introduzione intitolata "Sei per sei: trentasei" ed è diviso in sei capitoli a loro volta suddivisi in sei sottocapitoli. I primi tre capitoli descrivono stratagemmi per situazioni favorevoli, gli ultimi tre descrivono stratagemmi per situazioni sfavorevoli. Ogni proverbio è seguito da un breve commento che descrive come il proverbio sia applicabile alle tattiche militari. I trentasei proverbi sono collegati a trentasei battaglie della storia e del folklore cinese, in prevalenza del Periodo degli stati combattenti e dei Tre Regni.

Introduzione. Sei per sei: trentasei (六六三十六)
Il numero "trentasei" va inteso come una metafora per indicare un gran numero di stratagemmi e non si riferisce ad un numero specifico. Nell'I Ching il "sei" è il numero dello Yin, associato all'oscurità e in questa opera si riferisce, per estensione, ai metodi oscuri della strategia militare. I trentasei proverbi probabilmente sono stati creati dopo i fatti e l'opera è stata tramandata con il titolo "I detti di Wáng".


Capitolo 1. Piani per le battaglie già vinte (勝戰計)
1.1 Attraversa il mare senza che il cielo lo sappia (瞞天過海/瞒天过海, Mán tiān guò hai)
Preparati troppo e perdi la visione d'insieme; quello che vedi spesso non lo metti in dubbio. Yin (l'arte dell'inganno) è nello Yang (azione). Troppo Yang (trasparenza) nasconde Yin (vere astuzie).

Questo stratagemma si riferisce ad un episodio del 643, quando l'imperatore Tai Zong di Tang, rinunciò ad attraversare il mare per attaccare Goguryeo. Il suo generale Xue Rengui escogitò uno stratagemma per alleviare la paura della nausea dell'imperatore: in una giornata soleggiata, l'imperatore fu invitato ad incontrare un saggio. Attraverso una scura galleria giunsero in una sala dove si svolse un banchetto. Dopo molti giorni, l'imperatore ascoltò il suono delle onde e capì di trovarsi su una nave. Il generale Xue aprì le tende che coprivano la vista del mare e confessò che ormai lo avevano attraversato. L'imperatore allora decise di proseguire e alla fine concluse una campagna militare vittoriosa.

1.2 Assedia Wèi per salvare Zhào (圍魏救趙/围魏救赵, Wéi Wèi jiù Zhào)
Quando il nemico è troppo forte per essere attaccato direttamente, allora attacca qualcosa a lui caro. Sappi che non può essere invincibile. Da qualche parte deve avere un punto debole che può essere attaccato.

L'origine di questo proverbio risale al Periodo degli stati combattenti. Lo stato di Wèi attaccò Zhao e assediò la sua capitale Handan. Zhào chiese aiuto a Qí, ma Sun Bin, generale Qí, considerò una cosa da stolti affrontare l'esercito di Wèi direttamente, così attaccò invece la loro capitale Daliang. L'esercito di Wèi si ritirò disordinatamente e le truppe stanche caddero in un'imboscata e furono sconfitte nella Battaglia di Guiling, dove Pang Juan, generale di Wèi, fuggì dal campo di battaglia. Si noti che questa campagna è esplicitamente descritta nell'Arte della Guerra di Sun Bin.

1.3 Uccidi con una spada presa in prestito (借刀殺人/借刀杀人, Jiè dāo shā rén)
Attacca usando la forza di un altro. Spingi un alleato ad attaccare il nemico, corrompi un ufficiale o usa la forza del nemico contro di esso.

1.4 Attendi riposandoti mentre il nemico si fiacca (以逸待勞/以逸待劳, Yǐ yì dài láo)
È vantaggioso scegliere il momento e il luogo della battaglia. In questo modo sai quando la battaglia avrà luogo, mentre il tuo nemico no. Incoraggia il nemico a spendere le sue energie in ricerche inutili mentre tu conservi la tua forza. Quando è esausto e confuso, attacca energicamente e di proposito.

1.5 Saccheggia una casa che brucia (趁火打劫, Chèn huǒ dǎ jié)
Quando un paese è sconvolto da conflitti interni, quando pestilenza e carestia devastano la popolazione, quando corruzione e crimine sono dilaganti, allora sarà incapace di affrontare una minaccia esterna. Questo è il momento per attaccare.

1.6 Rumore ad est, attacco ad ovest (聲東擊西/声东击西, Shēng dōng jí xī)
In ogni battaglia l'elemento sorpresa può fornire un vantaggio schiacciante. Attacca il nemico dove meno se lo aspetti. Usa un diversivo per creare un'aspettativa nella sua mente.
L'idea è far concentrare le forze del nemico in un luogo e attaccare un punto poco difeso.


Capitolo 2: Piani per le battaglie indecise (敵戰計)
2.1 Crea qualcosa dal nulla (無中生有/无中生有, Wú zhōng shēng yǒu)
Fai credere al nemico che ci sia qualcosa quando in realtà non c'è niente.
Un metodo è creare l'illusione che qualcosa esista, mentre non esiste affatto. Un altro metodo è creare l'illusione che qualcosa non esista, mentre in realtà esiste.

2.2 Ripara pubblicamente la galleria, ma intrufolati attraverso il passaggio di Chengan (明修棧道,暗渡陳倉/明修栈道,暗渡陈仓, Míng xiū zhàn dào, àn dù chén cāng)
Inganna il nemico con un approccio ovvio che richiederà molto tempo, allora lo sorprenderai prendendo una scorciatoia. Mentre il nemico concentra l'attenzione dove hai voluto, non si accorgerà che gli starai addosso.
La frase trae origine dalla contesa Chu-Han, dove Liu Bang si ritirò nello Sichuan per prepararsi allo scontro con Xiang Yu. Una volta pronto, Liu Bang inviò uomini per riparare pubblicamente le gallerie che aveva distrutto, mentre muoveva segretamente le sue truppe verso Guanzhong attraverso la cittadina di Chencang. Quando Xiang Yu seppe che Liu Bang stava riparando le gallerie, pensò che non c'era più pericolo poiché i lavori di riparazione sarebbero durati anni. Questo permise Liu Bang di riprendere Guanzhong di sorpresa e alla fine portò alla sua vittoria su Xiang Yu e alla nascita della Dinastia Han.

2.3 Guarda il fuoco dall'altra riva (隔岸觀火/隔岸观火, Gé àn guān huǒ)
Ritarda l'entrata in battaglia fino a quando tutti i contendenti si sono logorati combattendosi a vicenda. Allora attacca con tutta la forza e raccogli i pezzi.

2.4 Nascondi una spada dietro un sorriso (笑裏藏刀/笑里藏刀, Xiào lǐ cáng dāo)
Incanta e ingraziati il nemico. Quando hai guadagnato la sua fiducia, muovi contro di lui in segreto.

2.5 Sacrifica il pruno per salvare il pesco (李代桃僵, Li dài táo jiāng)
Ci sono circostanze nelle quali devi sacrificare obiettivi a breve termine per ottenere lo scopo a lungo termine. Trova il capro espiatorio affinché tutti gli altri non soffrano le conseguenze.

2.6 Cogli l'opportunità di rubare la capra (順手牽羊/顺手牵羊, Shùn shǒu qiān yáng)
Mentre porti avanti i tuoi piani, sii sufficientemente flessibile per avvantaggiarti di ogni opportunità che si presenti, anche minima, e giovatene per trarne profitto, per quanto trascurabile.


Capitolo 3: Piani per attaccare (攻戰計)
3.1 Batti l'erba per spaventare il serpente (打草驚蛇/打草惊蛇, Dá cǎo jīng shé)
Compi qualcosa di inusuale ma spettacolare per provocare la risposta del nemico, affinché riveli i suoi piani o la sua posizione, oppure provocalo solamente.
Conosciuto maggiormente come "Non spaventare il serpente battendo l'erba". Un'azione imprudente svelerà la tua posizione o le tue intenzioni al nemico.

3.2 Prendi a prestito un cadavere per risuscitare lo spirito (借屍還魂/借尸还魂, Jiè shī huán hún)
Prendi un'istituzione, una tecnologia, un metodo o anche un'ideologia che è stata dimenticata o scartata e appropriatene per il tuo scopo. Riporta in vita qualcosa dal passato, idee, usi, tradizioni, dandogli un nuovo scopo o reinterpretandoli secondo i tuoi scopi.

3.3 Costringi la tigre a lasciare la sua tana di montagna (調虎離山/调虎离山, Diào hǔ lí shān)
Non attaccare direttamente il nemico che ha una posizione favorevole. Invece spingilo a lasciare la sua posizione favorevole così da separarlo dalla sua fonte di forza.

3.4 Per catturare, bisogna allentare (欲擒故縱/欲擒故纵, Yù qín gū zòng)
Prede chiuse in un angolo spesso lanciano un ultimo disperato attacco. Per evitarlo lascia credere al nemico che abbia una possibilità di libertà. La sua volontà di combattere è così indebolita dal desiderio di fuga. Quando alla fine il nemico comprenderà che la libertà è impossibile, il suo morale sarà abbattuto e si arrenderà senza combattere.

3.5 Getta un mattone per ottenere una gemma di giada (拋磚引玉/抛砖引玉, Pāo zhuān yǐn yù)
Alletta qualcuno facendogli credere di guadagnare qualcosa o fallo solo reagire all'idea, e ottieni qualcosa di importante da lui in cambio.
Questo proverbio si basa sulla storia di due famosi poeti della Dinastia Tang. C'era un grande poeta chiamato Zhao Gu e un poeta inferiore di nome Chang Jian. Mentre Chang Jian era in viaggio per Suzhou, seppe che Zhao Gu avrebbe fatto visita ad un tempio del luogo. Chang Jian desiderava imparare dal maestro e così ideò un piano: si recò al tempio in anticipo e poi scrisse una poesia sui muri del tempio con solo due versi su quattro completi, sperando che Zhao Gu lo avrebbe visto e terminato. E così avvenne.

3.6 Sconfiggi i nemici catturando il loro capo ((擒賊擒王/擒贼擒王, Qín zéi qín wáng)
Se l'esercito nemico è forte ma è legato al comandante solo per denaro, superstizione o minacce, allora concentrati sul capo. Se il comandante cade, il resto dell'esercito si disperderà o passerà dalla tua parte. Se invece sono legati al capo per lealtà, allora fai attenzione: l'esercito può continuare a combattere dopo la sua morte per vendicarlo.


Capitolo 4: Piani per le battaglie dalle molteplici possibilità (混戰計)
4.1 Rimuovi la legna da sotto il calderone (釜底抽薪, Fǔ dǐ chōu xīn)
Se qualcosa deve essere distrutto, allora distruggi la fonte.

4.2 Disturba l'acqua per catturare il pesce (渾水摸魚/浑水摸鱼 or 混水摸鱼, Hún shuǐ mō yú)
Crea confusione e usala per favorire i tuoi fini.

4.3 Muta la pelle dello scarabeo d'oro (金蟬脱殼/金蝉脱壳, Jīn chán tuō qiào)
Per scappare da un nemico dalle forze superiore, mascherati.

4.4 Chiudi la porta per catturare il ladro (關門捉賊/关门捉贼, Guān mén zhuō zéi)
Per catturare il nemico, devi pianificare con prudenza se vuoi riuscire. Non precipitarti nell'azione. Prima di muoverti, taglia le vie di fuga al nemico e ogni via di aiuto che possa giungergli da fuori.

4.5 Alleati con uno stato distante mentre attacchi uno vicino (遠交近攻/远交近攻, Yuǎn jiāo jìn gōng)
Le nazioni confinanti diventano nemiche, mentre le nazioni separate da grandi distanze stringono lunghe alleanze. Quando sei il più forte in un campo, la tua più grande minaccia proviene dal secondo più forte nel tuo campo, non dal più forte in un altro campo.
Questa politica è attribuita a Fan Sui di Qin (ca. 269 a.C.)

4.6 Ottieni un passaggio sicuro per conquistare Guo (假道伐虢, Jiǎ dào fá Guó)
Prendi a prestito le risorse di un alleato per attaccare un nemico comune. Una volta che il nemico è sconfitto, usa queste risorse contro l'alleato che te l'ha prestate.
Il proverbio si riferisce al duca Xian di Jin.


Capitolo 5: Piani per le battaglie di annessione (並戰計)
5.1 Sostituisci le travi con legno marcio (偷梁換柱/偷梁换柱, Tōu liáng huàn zhù)
Scompiglia la formazione nemica, interferisci nei loro metodi operativi, cambia le regole che sono soliti seguire, vai contro il loro addestramento regolare. In questo modo rimuovi la colonna portante, il legame comune che rende un gruppo di uomini una forza di combattimento coesa.

5.2 Punta al gelso mentre maledici l'acacia (指桑罵槐/指桑骂槐, Zhǐ sāng mà huái)
Per disciplinare, controllare o avvertire gli altri che sono in una posizione che esclude dal confronto diretto, fai analogie e allusioni. Quando i nomi non sono usati direttamente, chi è accusato non può rivalersi senza svelare la propria complicità.

5.3 Fingiti pazzo ma resta equilibrato (假痴不癲/假痴不癫, Jiǎ chī bù diān)
Nasconditi dietro la maschera dell'idiota, dell'ubriaco o del pazzo per creare confusione sulle tue intenzioni e motivazioni. Spingi il nemico a sottovalutare la tua abilità finché, presuntuosamente, abbasserà la guardia. Allora attaccalo.

5.4 Rimuovi la scala quando il nemico è salito sul tetto (上屋抽梯, Shàng wū chōu tī)
Con esche e inganni spingi il nemico su un terreno infido. Allora taglia le sue linee di comunicazione e vie di fuga. Per salvarsi deve combattere contro le tue forze e gli elementi della natura.

5.5 Adorna l'albero con fiori finti (樹上開花/树上开花, Shù shàng kāi huā)
Legare fiori di seta ad un albero morto dà l'illusione che l'albero sia in salute. Attraverso l'uso di artifici e travestimenti, rendi qualcosa di nessun valore importante, qualcosa di innocuo pericolo, qualcosa di utile inutile.

5.6 Scambia i ruoli dell'ospite e dell'invitato (反客為主/反客为主, Fǎn kè wéi zhǔ)
Impadronisciti del comando in una situazione dove sei di solito subordinato. Infiltrati nel campo avversario. All'inizio fingi di essere un invitato, ma cresci dall'interno e diventa in seguito il padrone.


Capitolo 6: Piani per le battaglie disperate (敗戰計)
6.1 La trappola della bella (美人計/美人计, Měi rén jì)
Invia al tuo nemico belle donne per generare discordia nel suo campo. Questo stratagemma può lavorare su tre livelli. Primo: il governante si innamora della bella donna e trascura i suoi doveri e allenta la vigilanza. Secondo: altri uomini a corte inizieranno a mostrare un atteggiamento aggressivo che infiamma piccole differenze ostacolando la cooperazione e distruggendo il morale. Terzo: altre donne a corte, motivate dalla gelosia e dall'invidia, cominciano ad ordire intrighi esacerbando ulteriormente la situazione.

6.2 La strategia del forte vuoto (空城計/空城计, Kōng chéng jì)
Quando il nemico è superiore di numero e ti aspetti di essere sopraffatto in qualsiasi momento, allora lascia cadere i preparativi e agisci con calma, così il nemico penserà che gli stai tendendo una trappola. Questo stratagemma deve essere usato con parsimonia e solo dopo aver sviluppato una reputazione di prodezza militare. Questo dipende anche dall'intelligenza del nemico che, intuendo una trappola, può progettare la sua reazione.

6.3 La trappola dell'agente doppio (反間計/反间计, Fǎn jiàn jì)
Mina la capacità del nemico di combattere causando segretamente discordia tra lui e i suoi amici, alleati, consiglieri, familiari, comandanti, soldati e popolazione. Mentre è occupato a comporre le dispute interne, la sua capacità di attacco o di difesa è compromessa.

6.4 Ferisciti per avere la fiducia del nemico (苦肉計/苦肉计, Kǔ ròu jì)
Fingere di essere feriti ha due possibili applicazioni. Primo: il nemico allenta la guardia poiché non ti considera più una minaccia immediata. Secondo: è un modo per ingraziarti il nemico fingendo che la ferita è stata causata da un nemico comune.

6.5 Stratagemmi intrecciati (連環計/连环计, Lián huán jì)
Nelle questioni importanti uno dovrebbe usare diversi stratagemmi contemporaneamente come una catena di stratagemmi. Tieni piani differenti operanti in uno schema generale. In questo modo se uno stratagemma fallisce, la catena si rompe e tutto lo schema fallisce.

6.6 Se tutto fallisce, ritirata (走為上/走为上, Zǒu wéi shàng)
Se diventa evidente che il susseguirsi degli eventi porterà alla sconfitta, allora ritirati e riorganizzati. Quando la tua parte sta perdendo, rimangono solo tre scelte da prendere: arrendersi, trovare un accordo, o scappare. La resa è la sconfitta completa, l'accordo è mezza sconfitta, ma la fuga non è sconfitta. Fino a quando non sei sconfitto, hai ancora una possibilità.


venerdì 30 aprile 2021

Ip Chun

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Ip Chun (叶准 o 葉準; Foshan, 31 luglio 1924) è un artista marziale cinese.
Figlio primogenito di Yip Man, ha iniziato a studiare il Wing Chun con il padre quando aveva sette anni.
Nel 1949, dopo l'insediamento dei comunisti nella Repubblica popolare cinese sul territorio cinese, il padre di Chun partì per Hong Kong, Chun tornerà all'età di 24 anni, a Foshan per continuare gli studi all'università. Chun ha studiato storia cinese, filosofia, poesia, musica tradizionale, e Buddismo. Nel 1950, appena completato i suoi studi, Chun scelse di dedicarsi all'insegnamento. Oltre a insegnare storia cinese, musica e scienza, Chun ha anche aiutato il Chinese Foshan Entertainment Department nell'allestire spettacoli di opera lirica. Durante questo periodo, è stato premiato come "La persona con il maggior potenziale nell'arte cinese" premio per la sua ricerca nella musica. Tuttavia, nel 1962, a causa della Rivoluzione Culturale, Chun e suo fratello minore Ching, sono stati costretti a lasciare Foshan e trasferirsi a Hong Kong, potendo tuttavia così, riunirsi a loro padre. A Hong Kong, Chun ha lavorato come contabile e giornalista, continuando a praticare il Wing Chun alla sera, dopo il lavoro, sotto l'autorevole tutela del padre. In conformità con i desideri del padre, nel 1965, Chun ha partecipato attivamente nelle attività del Wing Chun Athletic Association (WCAA) diventandone uno dei suoi membri fondatori, quando è stato formalmente istituito nel 1968. Durante i primi tre anni nell'associazione, Chun ha assunto il ruolo di tesoriere e fu poi nominato come presidente. Nel 1967, Chun inizia ad insegnare Wing Chun a Hong Kong e alcuni dei suoi primi studenti, come Leung Chung-wai e Ho Kay Ho Kay, grazie ai quali iniziò così il Wing Chun Ip Chun Academy, scuola che vanta tre decenni di storia, e vede ancora Chun nel ruolo di presidente. Il padre di Chun morì il 2 dicembre 1972, e, una settimana prima di morire, Yip Man, affidò a Chun le riprese per il filmato che ritraeva Maestro Man nell'esecuzione delle sue forme di Siu Nim Tao, Chum Kiu e Muk Yan Jong in modo da lasciare ai posteri un'importantissima testimonianza di maestria. Chun è instancabile e attivissimo nel mantenere viva l'eredità di suo padre, ed è stato scelto nel 2014 come erede del patrimonio dello stile Wing Chun Kung Fu. Ip Chun ha insegnato e tenuto seminari in molte città, tra cui paesi come l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Chun ha ricevuto una borsa di studio (FSMA) dalla Compagnia di Arti Marziali del Regno Unito, per introdurre il primo corso di laurea in arti marziali nel mondo, dal suo Fondatore e Presidente Prof. Eugenio de Silva Ph.D., FRSA nel 2000.
Ip Chun ha continuato ad insegnare il Wing Chun ai suoi discepoli e, dopo aver istituito la "Ip Chun Wing Chun Kuen Martial Arts Association" nel 1992, qualifica gli istruttori degni di diventare Shifu per poter insegnare il Wing Chun a studenti provenienti da tutto il mondo. Tra i migliori allievi c'è un giovane ragazzo di nome Gabriel Falace. Ip Chun Ancora oggi, ad oltre novanta anni di età, insegna con passione e perizia a molti studenti nella sua scuola ad Hong Kong.

Curiosità

  • Chun si è occupato dell'insegnamento del Wing Chun a Donnie Yen, attore interprete di Ip Man nell'omonimo film biografico. Ha inoltre assunto il ruolo di consulente per il film. Ha anche fatto un'apparizione speciale interpretando la parte di Leung Bik (figlio di Leung Jan) in un altro film dedicato alla memoria del padre, The Legend is Born - Ip Man. Nel 2013, ha fatto un cameo in un altro film su Ip Man, Ip Man: The Final Fight.
  • Ha interpretato suo padre nel film postumo dedicato a Bruce Lee, "Bruce Lee Supercampione" del 1976.

giovedì 29 aprile 2021

Colpevolizzazione della vittima

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La colpevolizzazione della vittima consiste nel ritenere la vittima di un crimine o di altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto e spesso nell'indurre la vittima stessa ad autocolpevolizzarsi. Un atteggiamento di "colpevolizzazione" è anche connesso con l'ipotesi che si deve conoscere e accettare una supposta "natura umana" (che sarebbe maligna in questa visione, o tendente all'abuso, alla sopraffazione), e – conseguentemente – adeguarcisi anche a scapito dei propri desideri, opinioni e della propria libertà.

Storia del concetto

Il concetto di "colpevolizzazione della vittima" è stato coniato da William Ryan con la pubblicazione, nel 1971, del suo libro intitolato appunto Blaming the victim. La pubblicazione è una critica al saggio di Daniel Patrick Moynihan The Negro Family: The Case for National Action del 1965, in cui l'autore descriveva le sue teorie sulla formazione dei ghetti e la povertà intergenerazionale. Ryan muove una critica a queste teorie in quanto le considera tentativi di attribuire la responsabilità della povertà al comportamento e ai modelli culturali dei poveri stessi. Il concetto è stato ripreso in ambito legale, in particolare in difesa delle vittime di stupro accusate a loro volta di aver causato o favorito il crimine subito.

Colpevolizzazione nei crimini sessuali e/o d'odio

Il tentativo di rendere la vittima colpevole di ciò che le è accaduto si riscontra con maggiore frequenza nei crimini a sfondo sessuale e nei cosiddetti crimini d'odio. Nel contesto dello stupro e della violenza di genere, questo concetto si riferisce alla tendenza diffusa ad interpretare "colpevolizzandoli" i comportamenti delle vittime. Abusi e violenze sarebbero provocati quindi in molti modi: dal flirtare, al tipo di abbigliamento indossato (in questo caso ci sono interessanti variabili geografiche e culturali), all'essersi trovata nel "posto sbagliato al momento sbagliato". Nell'ambito della violenza domestica e nel mobbing il processo di colpevolizzazione della vittima è stato descritto come parte integrante della violenza fisica e verbale: i comportamenti della vittima vengono sistematicamente interpretati come "provocazione" alla violenza.
In alcuni casi si cercano di colpevolizzare le vittime anche retrospettivamente, analizzandone il vissuto, il lavoro, lo stato civile, il comportamento, presumendo quindi che la vittima "se l'è cercata" o che abbia "meritato" la violenza subita. In alcuni casi anche l'orientamento sessuale viene usato nel meccanismo di colpevolizzazione della vittima. Le violenze e gli abusi sessuali sono particolarmente stigmatizzati nelle culture con costumi restrittivi e tabù riguardanti sesso e sessualità. Ad esempio una persona sopravvissuta ad uno stupro (specialmente se prima era vergine) può essere socialmente percepita come "deteriorata". Le vittime in casi simili possono soffrire a causa del conseguente isolamento, dall'essere rinnegate da amici e parenti, della possibile interdizione al matrimonio o dal divorzio forzato se precedentemente sposate, ed infine possono anche essere uccise.

Vittimizzazione secondaria

Generalmente si parla di "vittimizzazione secondaria" (o "post-crime victimization") quando le vittime di crimini subiscono una seconda vittimizzazione da parte delle istituzioni, dagli operatori e operatrici sociali, o dall'esposizione mediatica non voluta. A questo proposito l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1985 ha formulato la "dichiarazione dei principi basilari della giustizia per le vittime di reato e abuso di potere" (UN,1986; risoluzione annuale 40/34).

La colpevolizzazione come reazione a dissonanze cognitive

Rifiuto dell'ingiustizia

Alcuni hanno proposto che il fenomeno della colpevolizzazione della vittima coinvolga l'ipotesi del mondo giusto, in cui la gente tende a considerare il mondo come un posto giusto e non può accettare una situazione in cui una persona soffre senza un valido motivo. Quindi il ragionamento che viene fatto è il seguente: le persone che sono vittime di sventure, devono aver fatto qualcosa per averle attirate su di sé. Questa teoria risale a tempi molto antichi: il biblico Libro di Giobbe ne offre una spiegazione canonica.
I sostenitori di questa visione devono per forza accettare che fare altrimenti richiederebbe loro di abbandonare questo atteggiamento consolidato, e credere invece in un mondo dove "cose cattive" come povertà, stupro, fame e violenza possano accadere anche a "brave persone" e senza un "buon motivo"; ma facendo ciò la dissonanza cognitiva diventa insostenibile e produce la colpevolizzazione della vittima.

Tecniche di neutralizzazione

La colpevolizzazione della vittima interviene come reazione individuale o sociale rispetto alle dissonanze cognitive che scaturiscono da condotte criminali, illecite, o trasgressive dell'ordine sociale: questo particolare utilizzo la fa rientrare all'interno di quell'armamentario di tecniche di neutralizzazione che vengono messe in campo per attenuare, o addirittura risolvere, il conflitto condotte trasgressive instaurano nei confronti di regole morali e della morale sociale, e che puntano all'esclusione, o almeno all'attenuazione, della responsabilità individuale nell'operato illecito, attraverso una ridefinizione del senso dell'azione posta in essere.
In questo caso, la neutralizzazione del senso di colpa si attua attraverso l'inversione della responsabilità del gesto: l'onere della colpa viene scaricato sulla vittima, accusata di aver messo in atto comportamenti provocatori e quindi, indirettamente, criminogeni: la donna stuprata, ad esempio, è spesso indicata quale vera colpevole della devianza dello stupratore, il quale sarebbe stato indotto all'approccio sessuale dalla condotta ammiccante della vittima, dal suo particolare abbigliamento, o da eventuali atteggiamenti sensuali o provocanti. Come succede nei casi di violenza sessuale, si tratta, molto spesso, di una percezione distorta dei comportamenti della vittima, a cui l'attore attribuisce "intenzioni e responsabilità in realtà inesistenti".

mercoledì 28 aprile 2021

Bossing

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Il bossing come inteso in questo post è un pseudo anglicismo utilizzato molto raramente solo in Italia per indicare una forma specifica di mobbing che ricorre quando il soggetto agente non sia un pari grado e/o, bensì un superiore gerarchico, in diversi contesti sociali (come ad esempio un capoufficio, un dirigente, un manager, un ufficiale nelle forze armate).

Caratteristiche

Il bossing consiste in una forma peculiare di molestia psicologica che viene attuata con il preciso scopo di indurre il dipendente alle dimissioni, spesso per l'impossibilità di poterlo licenziare senza dovere versare costosi incentivi all'esodo. Il bossing può concretizzarsi in modalità differenti ma con lo scopo comune di creare un clima di tensione intollerabile attraverso atteggiamenti severi, minacce e rimproveri costanti, la revoca di benefit meritati e utili (la macchina dell'azienda, il telefono cellulare, abuso eccessivo di strumenti di controllo eventualmente previsti, azioni di sabotaggio, ecc.), oppure affidando alla vittima compiti degradanti e dequalificanti rispetto al profilo professionale del lavoratore, privandolo così di ogni opportunità di crescita personale e di carriera.
Si tratta in sostanza di una forma di persecuzione attuata attraverso una strategia di vessazioni psicologiche e disciplinari, volta a costringere il dipendente sgradito all'autolicenziamento. Le cause che portano ad una strategia di questo tipo possono essere personali (come l'invidia da parte dei superiori o la paura del capo di essere superato dal dipendente), oppure organizzativi (come la necessità di ridurre o ringiovanire il personale o di diminuire le risorse umane in rami aziendali improduttivi). La ratio di questa strategia è evidentemente nel vantaggio di potersi liberare di un dipendente o sottoposto senza dover sottostare alle norme e ai procedimenti spesso lunghi e onerosi previsti dal diritto del lavoro o da accordi sindacali, o semplicemente dalle clausole contrattuali.

Conseguenze

Le persone soggette a bossing presentano notevoli rovesciamenti d'umore, spesso soffrono d'insonnia, perdita di fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità sino a sviluppare depressione. Di conseguenza, si assiste ad un aumento dell'uso di psicofarmaci, alcol e sigarette. Quindi, oltre ad un grande danno psicologico, si rileva anche un danno fisico non trascurabile.

Tipologie

A seconda dei vari contesti, possono esservi diverse tipologie di bossing:
  • job bossing, corrispondente alla classica e più diffusa forma di mobbing "dall'alto" sul posto di lavoro;
  • port bossing, praticato all'interno di una organizzazione sportiva, di solito da un allenatore, o da un direttore tecnico, che intende indurre la vittima all'autoallontanamento o più semplicemente a uno stato di soggezione;
  • school bossing, praticato da un insegnante che usa sistematicamente frasi o espressioni denigratorie, atte a indurre insicurezza o un calo dell'autostima, oppure mette in atto provvedimenti persecutori ingiustificati a carico di un allievo;
  • military bossing, tipicamente diffuso all'interno delle forze armate e messo in atto, attraverso espressioni irriguardose e/o provvedimenti disciplinari persecutori, da un superiore a carico di uno o più subordinati;
  • club bossing, praticato all'interno di società o associazioni del genere più vario (amatoriali, professionali, parrocchiali, artistiche, di beneficenza, ecc.), da membri anziani autorevoli o con ruolo dirigente a danno di membri più recenti, o comunque in posizione più debole, la cui attività o presenza non risulti gradita.

Strategie offensive

Il fenomeno del bossing è caratterizzato da numerose strategie che servono per indurre i lavoratori di un'azienda a presentare le proprie dimissioni in modo volontario e spontaneo.

La lista nera

Una strategia molto diffusa sarebbe quella di far circolare una lista nera in cui vengono inseriti i nomi delle persone che non svolgono delle mansioni utili per l'impresa e quindi non sono indispensabili ma solo di intralcio. Queste liste nere vengono generalmente redatte in più copie e non sono mai rese "ufficiali", bensì cercano di mantenere una certa segretezza al riguardo dei nomi delle persone che l'azienda ha scelto di eliminare. Questa strategia provoca nel personale dell'azienda un notevole stato di stress, di tensione e di insicurezza e di conseguenza si ha un aumento di conflitti interni che realizzano lo scopo di incentivare le dimissioni dei lavoratori esasperati.

Il demansionamento

Una seconda strategia scorretta che ha l'impresa o il datore di lavoro è quella di fornire al lavoratore degli incarichi che rappresentano per lui stesso motivo di degrado e di dequalificazione perché attraverso questi compiti lui non riesce a realizzare qualcosa di costruttivo. Quest'ultima modalità è definita "demansionamento", disciplinata nei vari ordinamenti giuridici e spesso sanzionabile.
Potrebbe essere adottato dal datore di lavoro che voglia liberarsi legalmente di figure lavorative non più utili al disegno aziendale perché ritenute obsolete o per altri motivi deve pagare a questi lavoratori delle somme di indennità molto elevate; pertanto le imprese a volte preferiscono attivare il fenomeno del bossing.

Strategie difensive

È necessario anzitutto che il soggetto non si demoralizzi mai, ma prenda coscienza dei propri diritti di lavoratore e li difenda denunciando i fatti agli apposti organismi di tutela. È necessario inoltre che egli adotti tutte le strategie di autodifesa e di autotutela del caso per neutralizzare gli attacchi; un metodo potrebbe essere il raccogliere in modo ordinato quanto più materiale sia possibile, come ad esempio le email di lavoro, le comunicazioni interne, gli sms, acquisire registrazioni audio, come strumento di prova per dimostrare le angherie subìte e cercare di ottenere giustizia.

Tutela legislativa

Non tutti gli ordinamenti giuridici si sono dotati di una normativa specifica sul mobbing "dall'alto", o bossing, e spesso la legge o gli accordi sindacali prevedono i relativi strumenti e procedure operative a tutela di chi ne è vittima. La letteratura giuridica sull'argomento è ormai sufficientemente vasta ed articolata, e anche la casistica comincia ad essere studiata dal punto di vista giuridico e psicosociologico con una certa sistematicità.
Spesso però risulta molto difficile dimostrare di essere vittime di tali attività, perché si tratta di una zona dove le persone senza scrupoli né morale si muovono indisturbati, sicuri di non essere mai colpiti dalla legge proprio perché si tratta di fatti che moltissimi individui subiscono, ma che poi la grande maggioranza di essi non denuncia.

martedì 27 aprile 2021

Aggressività

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L'aggressività è un fenomeno complesso, che rientra nelle problematiche legate al manifestarsi della violenza negli esseri umani. Le dinamiche psichiche e biologiche che conducono ai conflitti violenti tra le persone, il loro legame con gli istinti primari sono questioni che da due secoli psicologi e altri studiosi analizzano e che solo recentemente si stanno chiarendo.

Etologia

Nell'etologia in generale (e nell'etologia umana in particolare) col termine aggressività s'intende l'impulso istintuale ad aggredire animali di altre specie o della propria al fine di attentare alla loro esistenza, per cibarsene nel caso di specie predatorie carnivore, o comunque di provocare loro lesioni o danni diffusi. In altri termini, l'aggressività è letta dagli etologi come funzionale alla soddisfazione degli obiettivi primari: mangiare e copulare. Si ha aggressività per difendere un territorio, per proteggere i propri piccoli, per organizzare la scala sociale gerarchica all'interno di un gruppo nelle specie sociali. Konrad Lorenz ha studiato l'aggressività all'interno del comportamento animale, pubblicandone un primo saggio nel 1966 con il titolo Il cosiddetto male.

Scienze sociali

In psicologia ed in altre scienze sociali e comportamentali, con il termine aggressività ci si riferisce all'inclinazione a manifestare comportamenti che hanno lo scopo di causare danno o dolore ad altri da sé. L'aggressione in ambito umano può attuarsi sia sul piano fisico che verbale, ed una certa azione viene considerata aggressiva anche se non riesce nelle sue intenzioni di danneggiamento. Al contrario, un comportamento che causa solo accidentalmente un danno non è da considerarsi aggressione.
L'aggressività è stato un argomento sempre trattato dalle scienze sociali (psicologia, sociologia, antropologia) ed infatti esistono varie teorie. Per alcuni studiosi l'aggressività dipende da fattori innati, cioè sostengono che si nasce con l'istinto di aggredire, per gli ambientalisti, invece, l'aggressività è un fattore acquisito. Alcune scuole ambientaliste sono:
  • la scuola che si basa sulla teoria della frustrazione;
  • la scuola dell'apprendimento sociale;

Teoria della frustrazione

La frustrazione è una condizione psicologica di sofferenza che nasce dalla impossibilità di soddisfare un'esigenza fondamentale di natura psicologica o fisica a causa di un ostacolo esterno. Grazie ad alcuni esperimenti di Leonard Berkowitz si dimostra che non solo la frustrazione può rendere aggressivi ma anche la presenza di indizi aggressivi. L'esperimento di Berkowitz, infatti, mette in evidenza che la causa dei comportamenti aggressivi, oltre alla frustrazione, è anche il modo in cui viene interpretata una situazione; se sono presenti armi, ad esempio, si è portati a credere che la situazione è pericolosa, pertanto frustrati o no si reagisce in modo aggressivo.

Scuola dell'apprendimento sociale

Questa scuola di pensiero si basa sulla teoria per cui si diventa aggressivi quando si hanno dei modelli aggressivi nell'ambito familiare o a scuola o tra gli amici; è quindi un fattore acquisito. La psicologia sociale afferma che in un gruppo di amici esiste la mentalità di gruppo, ovvero tutti compiono delle azioni perdendo la propria obbiettività, quindi se nel gruppo si aggredisce e se gli altri aggrediscono, noi componenti di quel gruppo siamo portati a fare altrettanto.

Filosofia

Riflessioni in merito all'aggressività umana, inteso come istinto di prevaricazione, provengono dal filosofi come Thomas Hobbes e Arthur Schopenhauer come natura intrinseca dell'animo umano. Su posizioni simili giunge anche Sigmund Freud nel celebre carteggio che intrattenne con Albert Einstein Perché la guerra?.

Sociologia

Per la sociologia l'aggressività è un fattore ambientale, conseguenza di contesti sociali negativi che spesso portano a comportamenti collettivi che si hanno quando migliaia di persone agiscono allo stesso modo, facendo la stessa cosa (ad esempio negli stadi).

Antropologia

Gli antropologi partono dal presupposto che l'aggressività è una predisposizione del genere umano che si manifesta nei diversi popoli in modo diverso. Il popolo eschimese, ad esempio, ha una forma di aggressività passiva, ovvero il quiquq, che si ha quando una persona viene ignorata o presa in giro e quindi isolata dal gruppo pensando che quella persona provochi del male a tutti. Per l'antropologia, quindi, l'aggressività è innata, è un comportamento che si ha dalla nascita.

Funzioni e origine dell'aggressività e manifestazioni

Le maniere in cui si esprimono le varie forme di aggressività sono molteplici, in quanto si identificano con i vari momenti della vita umana, nei quali l'individuo si trova in rapporti, temporanei o duraturi, con i suoi simili, a partire dalla primissima infanzia. Come è noto, tensioni che oppongono uno o più individui agli altri si possono sviluppare all'interno della famiglia come nella scuola, nelle competizioni sportive come nelle lotte sindacali, nelle polemiche che vedono schierati in campi avversi i partiti politici come in quelle che talvolta avvampano tra due persone che discutono di sport. Forme di aggressività sono presenti in certi sogni notturni, come nei miti, nelle leggende e nelle favole per bambini, e tutto ciò è una prova ulteriore del ruolo non trascurabile occupato dall'aggressività nella vita umana.
Allo scopo di introdurre un elemento di chiarezza nella discussione sulla natura dell'aggressività, lo psicoanalista Erich Fromm, nel suo saggio Anatomia della distruttività umana, parte da una netta distinzione:
«Dobbiamo distinguere nell'uomo due tipi completamente diversi di aggressione. Il primo, che egli ha in comune con tutti gli animali, è l'impulso, programmato filogeneticamente, di attaccare o di fuggire quando sono minacciati interessi vitali. Questa aggressione difensiva, "benigna", è al servizio della sopravvivenza dell'individuo e della specie, è biologicamente adattiva, e cessa quando viene a mancare l'aggressione. L'altro tipo, l'aggressione "maligna", e cioè la crudeltà e la distruttività, è specifica della specie umana, e praticamente assente nella maggior parte dei mammiferi; non è programmata filogeneticamente e non è biologicamente adattiva; non ha alcuno scopo e, se soddisfatta, procura voluttà»
(E. Fromm, 1975, p.20)
Quanto all'origine dell'aggressività e dell'eventuale parentela dell'uomo con gli animali sotto questo riguardo, si possono distinguere grosso modo due gruppi principali di teorie con una gamma di posizioni intermedie. Per il primo l'aggressività è un istinto che l'uomo ha in comune con gli animali; per il secondo, invece, è qualcosa di specificamente umano, tanto più se si considera l'aggressività intraspecifica (cioè all'interno della specie), che presso gli animali, tranne rare eccezioni, non ha carattere distruttivo, mentre fra gli uomini non si ferma neppure dinanzi all'omicidio, alla strage, al genocidio. Secondo i sostenitori di quest'ultima concezione, l'origine dell'aggressività degli uomini è da ricercare nella lunga storia della loro evoluzione come specie. Al primo gruppo di teorie si sogliono ascrivere anche, sempre in via di generalizzazione e accantonando perciò una serie di distinzioni secondarie, la teoria delle pulsioni di Freud e la concezione esposta da Lorenz nell'opera Il cosiddetto male (ampliata con il titolo L'aggressività, 1963).
Per quanto riguarda la teoria delle pulsioni sviluppata da Freud nel corso degli anni, bisogna ricordare che nel saggio Al di là del principio del piacere egli
«ha fatto proprio il presupposto che in ogni essere umano, in ogni cellula, in ogni sostanza vivente, siano all'opera due pulsioni: pulsione di vita e pulsione di morte. E questa seconda, Thanatos (in greco, morte), come la chiamò Freud, si rivolgerebbe sia all'esterno, apparendo quale distruttività, sia all'interno, quale forza autodistruttiva che conduce alla malattia, al suicidio o, se mescolata a impulsi sessuali, al masochismo. Non sarebbe determinata da circostanze, non sarebbe prodotta da nulla: l'uomo avrebbe soltanto la scelta di indirizzare questo impulso di distruzione o di morte contro se stesso o contro altri, trovandosi pertanto di fronte a un dilemma quanto mai tragico»
(E. Fromm, 1984, p.54)
Secondo Konrad Lorenz, l'aggressività "è il risultato di un accumulo autonomo di energia" che, anche in assenza di stimoli esterni, finisce per dar luogo a comportamenti aggressivi. Con una notevole differenza, però, rispetto agli animali, presso cui l'aggressione intraspecifica ben raramente giunge ad esiti mortali.
«I rappresentanti di una stessa specie (il fenomeno riguarda in modo particolare i vertebrati) combattono tra loro per la gerarchia, il territorio o la femmina. In generale, tuttavia, questi conflitti presentano una caratteristica davvero stupefacente, e che ne limita enormemente la pericolosità: sono cioè ritualizzati. Un comportamento aggressivo ritualizzato è formato da un insieme di elementi abbastanza stereotipati e convenzionali, come grida, esibizioni di parti corporee a effetto terrifico, movimenti alterni di avvicinamento, fuga, accerchiamento, atteggiamenti di minaccia o di resa incondizionata; ben difficilmente le armi micidiali dei contendenti, zanne, artigli, corna ecc. sono impiegate per uccidere. Il lupo vincitore non azzanna a morte il lupo vinto che gli offre, in atto di sottomissione, la gola, ma cavallerescamente permette all'antagonista di andarsene incolume. I daini cozzano le corna, ma, anche se uno degli avversari, nel corso della lotta, scopre il fianco, l'altro non gli vibrerà mai un colpo mortale in questa regione; aspetterà, invece, che il nemico ritorni in posizione frontale per riprendere l'assalto»
(G. Gelli, 1986, pp.16-17)

Psicologia

Aggressività fisiologica e patologica

Nell'aggressività fisiologica facilmente si evidenziano la causa o le cause che l'hanno provocata: un gesto, una parola, un comportamento, ostile, provocatorio, ingiusto. Qualcuno ci ha minacciato, ci ha insultato, ci ha fatto del male in modo fisico o morale. Pertanto la nostra reazione serve ad impedire che continui a tormentarci. Al contrario nell'aggressività patologica si mette in moto un tipo di comportamento difensivo, senza che vi sia stato alcun atteggiamento provocatorio o ostile da parte degli altri o un comportamento eccessivo e sproporzionato rispetto all'offesa o alla minaccia.
Nei bambini i casi più frequenti di aggressività fisiologica nascono dalla salvaguardia delle proprie cose o dei propri diritti, come la difesa dei propri giocattoli o la gelosia nei confronti dell'amore di uno o entrambi i genitori o di qualche familiare (nonni, zii).

Aggressività apparente

Il bambino può avere dei comportamenti che noi giudichiamo aggressivi ma che possono essere soltanto un modo per giocare o scoprire e capire la realtà che lo circonda (aggressività apparente) Questa pseudo aggressività il bambino la manifestano soprattutto con gli oggetti, per vedere come sono fatti dentro o nei confronti degli insetti e dei piccoli animali, per scoprire la modalità del loro movimento o per esplorare le loro reazioni. Soprattutto nei maschietti l'aggressività apparente si manifesta sotto forma di gioco o di competizione quando guerreggiano, lottano e si azzuffano così da provare o dimostrare la loro forza, la loro capacità e virilità.

Differenze di genere

Entrambi i sessi provano l'istinto aggressivo in quanto questo è un normale componente della psiche umana. La diversità sta nel diverso modo di manifestarlo e gestirlo. Gli uomini manifestano l'aggressività in modo più fisico, eclatante e immediato. Pertanto, per far del male all'altro, utilizzano il proprio corpo, mediante calci, pugni, schiaffi o armi (bastoni, coltelli, pistole e altro). In alternativa l'aggressività maschile viene espressa mediante parole offensive che possono in qualche modo colpire e far del male alla persona dalla quale hanno o pensano di aver ricevuto del danno o delle offese. Le donne, invece, esprimono l'aggressività in modo più sottile e ricercato: se bambine cercano di escludere dal gruppo la persona che intendono colpire, negano a questi la loro compagnia o la loro amicizia, parlano male di questi, attuano comportamenti ricattatori o assumono atteggiamenti da vittima in modo tale da provocare nel “nemico” sensi di colpa. Se adulte si ingegnano a togliere alla persona che intendono colpire tutto ciò alle quali questi tiene molto: il denaro, la casa, i figli, il suo onore. E anche quando intendono fare a questi del male fisico, preferiscono utilizzare altri uomini per raggiungere il loro scopo. Nei rari casi nei quali vogliono arrivare alla soppressione diretta dell'altro tendono ad usare mezzi poco cruenti, come può essere il veleno. Sia l'aggressività femminile sia soprattutto quella maschile diminuiscono notevolmente quando uomini e donne riescono ad instaurare e vivere dei solidi e soddisfacenti rapporti familiari o di coppia.

Evoluzione nel tempo delle manifestazioni aggressive

L'aggressività è presente fin dalla nascita ma si manifesta in modo diverso a secondo dell'età. Il lattante la può manifestare mordendo il capezzolo della madre, stringendo i pugnetti, rigurgitando o rifiutando il cibo; il bambino di due – quattro anni la può rivelare cercando di distruggere e far del male, sbattendo i giocattoli nel lettino, a terra o su altri bambini o adulti, che cercherà di mordere o ai quali potrà tirare e strappare i capelli. In generale nella prima e nella seconda infanzia prevale nettamente l'aggressività motoria mentre verso la fine della seconda infanzia, all'aggressività motoria si aggiunge quella verbale che tenderà nel tempo a sostituire quella motoria.Soprattutto le femminucce, in alcuni casi, ottengono lo scopo di far del male ignorando, a volte per ore e giorni, la o le persone che vogliono far soffrire. Anche i comportamenti oppositivi e negativisti nei quali il bambino si ostina o rifiuta da fare quanto richiesto dagli altri possono ottenere lo scopo di punire e far soffrire.
Con la maturazione il bambino riesce a manifestare l'aggressività soprattutto nel gioco simbolico: Come dice Spok:
“Un bambino normale impara a controllarsi a poco a poco, crescendo, attraverso le manifestazioni delle propria natura e i buoni rapporti con i genitori. A uno-due anni, quando è arrabbiato con un altro bimbo, è capace di morsicagli un braccio senza un attimo di esitazione. Ma a tre-quattro anni ha già imparato che l'aggressività violenta è una brutta cosa, però gli piace fingere di uccidere sparando ad un ipotetico indiano”.
Con il progredire dell'età, specialmente nell'età adulta, tranne i casi patologici, tutte le manifestazioni aggressive, sia fisiche sia verbali, tendono a diminuire in quanto l'essere umano, se è sufficientemente sereno ed equilibrato, riesce ad avere un miglior controllo emotivo e razionale e un maggior rispetto nei confronti della sensibilità e del benessere degli altri.

Cause

Sofferenza interiore

In tutte le età, l'aggressività può nascere da una grave sofferenza interiore causata da traumi psichici o prolungate situazioni di stress. In questi casi viene ad alterarsi, a volte per breve tempo, altre volte in modo duraturo, il rapporto con gli altri e il mondo nel suo complesso. Questi sono avvertiti come minacciosi e infidi, incapaci di accoglienza e amore. I motivi che portano a dei traumi o degli stress eccessivi possono essere i più vari: importanti conflitti familiari o genitoriali, prolungate carenze affettive, stili educativi non consoni allo sviluppo di un bambino ecc. Questi e altri motivi riescono a provocare momentanee o stabili emozioni negative con manifestazioni di insofferenza, rabbia, collera e conflittualità interiore.
Per Bollea infatti:
“L'aggressività può dare comportamenti negativi e più tardi distruttivi solo ed essenzialmente come reazione ad un conflitto esterno o interno, conflitto che, a seconda del periodo evolutivo in cui è sorto, fissa, in parte, anche per i periodi successivi la modalità dell'aggressività propria di quel periodo”.
Addirittura, in alcuni casi, la sofferenza psicologica e il conflitto interiore che ne consegue, spingono periodicamente queste persone a provocare gli altri, per ricevere da questi delle brusche reazioni, le quali, in qualche modo, possano giustificare i loro comportamenti violenti o aggressivi. Comportamenti che avvertono come necessari per dar sfogo alle intense pulsioni interiori così da ritrovare un pur scarso, precario e momentaneo equilibrio.

Maggiore suscettibilità

Caratteristica dei bambini ma anche degli adolescenti e adulti aggressivi è quella di essere notevolmente suscettibili a ogni parola, atteggiamento o comportamento altrui non consono ai propri bisogni. Questa notevole suscettibilità tende a provocare facile collera e irritazione con conseguenti esplosioni di manifestazioni aggressive e/o violente.

Bisogno di autonomia e indipendenza

Nel bambino e nell'adolescente, il bisogno di affermare la propria volontà, personalità, autonomia e indipendenza può manifestarsi sotto forma di aggressività verso il mondo degli adulti colpevole, a parer loro, di volerli mantenere in una situazione di sudditanza. In questi casi il bambino e l'adolescente non hanno alcun risentimento personale verso delle persone ben precise: insegnanti, genitori e adulti che siano, ma esprimono soltanto il loro bisogno di affrontare situazioni e ambienti sconosciuti e portare a termine nuove conquiste ed esperienze senza essere eccessivamente limitati o peggio bloccati. In questi casi compito degli adulti non è quello di contrastare ogni iniziativa dei minori ma di illuminare e guidare in modo affettuoso tali iniziative, aiutandoli nelle loro scoperte e nelle esperienze utili e/o necessarie.

Ricerca di dialogo, attenzione e affetto

Soprattutto nei bambini e negli adolescenti i comportamenti aggressivi possono nascondere la necessità di comunicare alle persone che hanno cura di loro, la necessità di ottenere più attenzione, dialogo, comunicazione e scambio affettivo. In questi casi, l'aggressività verbale o fisica assume il significato di urlare in modo scomposto le proprie esigenze che, per troppo tempo, sono state trascurate o non sufficientemente considerate e accettate.

Emulazione

Non bisogna sottovalutare la presenza di comportamenti aggressivi dettati da un bisogno di emulare individui reali, ma anche uno o più personaggi immaginari presenti nei film, nei cartoni animati, nei fumetti o nei video giochi.
Nonostante l'esempio negativo dato da persone reali come può essere un genitore, un amico, un conoscente il quale assume, davanti al minore, comportamenti prevaricanti e violenti, sia sicuramente più incisivo, non sono affatto da sottovalutare i messaggi che arrivano in maniera frequente dai mass media e dai vari strumenti elettronici. È stato dimostrato come i minori, ma anche gli adulti, soprattutto se questi ultimi sono psicologicamente disturbati o immaturi, sono decisamente influenzati da questi messaggi carichi di violenza.
Per Tribulato:
“Spesso, senza che i genitori, troppo impegnati o assenti, riescano a fare da filtro, i minori sono in contatto con delle rappresentazioni nei quali l'aggressività e l'arbitrio la fanno da padroni. In molte trasmissioni della tv ormai da molti anni prevalgono modelli di eroi senza paura ma anche senza pietà e senza alcuna disponibilità all'ascolto e alla comprensione dell'altro. L'adulto da imitare è veloce, forte, sicuro di sé, ma molto spesso è anche decisamente violento e privo di ogni sentimento di pietà nei confronti dei “nemici”. Agli spettacoli della tv e dei film si aggiungono i videogiochi, dove distruggere l'altro, con tutte le armi a disposizione, è quasi sempre la regola base del gioco, per cui alla lunga l'aggredire e il distruggere diventano atteggiamenti “normali”, piacevoli e divertenti nella vita dei minori.”
Per Andreoli V.
"Non esiste dubbio alcuno che la violenza rappresentata abbia un effetto immediato di promozione e agisca - in senso generale - sulla voglia di violenza".